Se todo o horror da guerra fosse mostrado…

Eles [os israelenses] estão fazendo coisas terríveis lá. Uma enorme máquina militar num pequeno espaço confinado contra inimigos com armas leves misturados a uma população civil sem lugar para fugir ou encontrar abrigo. Os israelenses sabiam desde o começo que se todo o horror da guerra fosse mostrado em horário nobre, especialmente nos EUA, eles teriam perdido sua causa (Phillip Knightley, em entrevista a Pedro Dias Leite, da Folha de São Paulo, em Londres)

Fonte: Folha Online: 11/01/2009 – 08h05: “Israel tem mais porta-vozes que os EUA”, afirma autor britânico

Phillip Knightley: correspondente de guerra do “Sunday Times” por 20 anos e autor de livro clássico sobre o tema, The First Casualty: The War Correspondent as Hero and Myth-Maker from the Crimea to Iraq [A Primeira Vítima: O Correspondente de Guerra como Herói e Construtor de Mitos, da Criméia ao Iraque]. 3. ed. Baltimore, MD: The Johns Hopkins University Press, 2004, 608 p. – ISBN 9780801880308.

Leia Mais:
Jornais sobem tom de crítica a ação israelense – da Folha de S. Paulo, em Londres, Nova York e Paris: Folha Online: 11/01/2009 – 08h08
Em duas semanas de conflito, a operação militar israelense na faixa de Gaza assistiu a uma rápida queda de popularidade na imprensa internacional, especialmente depois do ataque, na terça-feira, a uma escola da ONU, onde morreram 43 pessoas.

A carnificina em Gaza e o Vaticano

No rastro de João XXIII, Paulo VI e João Paulo II, o Papa destoa em relação a Gaza – IHU On-Line: 11/01/2009

O Vaticano se recusa a alinhar-se com quem define os bombardeios em Gaza simplesmente como uma resposta contra os foguetes do Hamas (…) Bento XVI destaca a “violência inaudita” da expedição punitiva de Israel e pede uma mudança da classe dirigente e da linha política aos palestinos e israelenses…

 

Il Papa fuori dal coro – Marco Politi: La Repubblica – 10 gennaio 2009

Esce fuori dal coro il Vaticano, rifiutando di allinearsi a chi semplicisticamente etichetta i bombardamenti su Gaza come risposta difensiva contro i razzi di Hamas.Esce fuori dal coro Benedetto XVI sottolineando la «violenza inaudita» della spedizione punitiva di Israele e chiedendo un mutamento di classe dirigente e di linea politica a palestinesi e israeliani. E c’ è un motivo. In Terrasanta il Vaticano non è uno stato esterno, che da lontano si schiera in un modo o un altro. In Terrasanta la Chiesa cattolica ha i suoi terminali dall’ interno della società: preti, suore, missionari e soprattutto abitanti, giovani, anziani, madri e padri che vivono la vita quotidiana. Non saranno tanti i palestinesi cristiani, ma sono figli di quella terra e conoscono i giorni buoni e quelli amari. Dunque il Papa sa ciò che avviene e non funzionano le frasi di chi accusa il Vaticano di non essere bene informato. E allo stesso tempo gli esponenti della Chiesa cattolica, dal pontefice in giù, sono per natura e formazione profondamente avversi al terrorismo, aborrono bombe e attentati, temono la violenza politica e più ancora quella travestita con panni religiosi. E quindi immaginarli sbilanciati verso la parte dei «terroristi» non è credibile. In realtà Joseph Ratzinger, proprio perché rifiuta il fondamentalismo violento e specie perché teologicamente si sente vicinissimo all’ ebraismo – appena eletto la sua prima lettera papale la mandò alla comunità ebraica di Roma – sta affrontando senza ideologismi la nuova grande crisi israelo-palestinese. Con un realismo ed uno sguardo lucido sulla situazione mondiale, ponendosi nel solco dei suoi predecessori Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla aveva ammonito contro la follia dell’ invasione dell’ Iraq, quando molti in Occidente si ubriacavano all’ idea di una crociata contro Saddam “novello Hitler”. La storia gli ha dato totalmente ragione. Oggi Benedetto XVI indica il pericolo di un’ avventura militare che precipiti verso un punto di non ritorno e realisticamente invita a costruire una exit strategy, che garantisca sul serio l’ esistenza pacifica di Israele accanto a quello stato di Palestina, che non è più rinviabile. In queste settimane dalle pagine dell’ Osservatore Romano, dell’ Avvenire, dal bollettino dei vescovi Sir emerge la mappa dei problemi e anche l’ indicazione di qualche risposta. Chi comanderà a Gaza, si è chiesto il quotidiano della Santa Sede, quand’ anche l’ esercito israeliano riuscisse a piegare Hamas? E’ pensabile una nuova occupazione oppure è immaginabile un’ “amministrazione fantoccio”? Non si rischia alla fine un rafforzamento di Hamas? Perciò, quando da San Pietro viene il monito che il ricorso alle armi non porta a nulla, non è una bella predica dal pulpito, ma l’ invito a ricordare che solo dalla politica può venire una via d’ uscita. «La violenza dell’ attacco israeliano nella striscia di Gaza è stata inaudita», si poteva leggere a fine anno in una nota del Sir. E i morti non avevano ancora superato quota settecento. «Ma la pace non si fonda sul taglione», proseguiva la nota. Se il governo israeliano vuole la pace, «dimostri di cercarla con un dialogo regionale e con gesti inequivocabili come l’ interruzione del Muro». E’ un tema, quello della latitanza dell’ iniziativa negoziale autentica, che l’ Avvenire ha sollevato ripetutamente. E una riposta è venuta da un’ analisi pubblicata sull’ Osservatore. L’ idea di una sicurezza d’ Israele affidata solo alla supremazia militare – si è potuto leggere sulla prima pagina del giornale del Papa – non porta da nessuna parte: «La sola idea di sicurezza possibile deve passare attraverso il dialogo con tutti, persino con chi non lo riconosce». Se qualcuno finge indignazione, in Vaticano ricordano che recentemente proprio qui a Roma il generale americano David Petraeus, comandante generale per l’ Iraq e l’ Afghanistan, ha spiegato che a volte «capita di doversi sedere allo stesso tavolo con chi ha le mani sporche del tuo sangue. Bisogna farlo». Davvero tutto Hamas è così monolitico nella sua linea e impermeabile ad un negoziato serio? I monsignori di Curia, rammentando com’ era partito Arafat e dove poi è approdato, ne dubitano. Perciò voltare radicalmente pagina in Terrasanta è per il Papa e la sua Curia segno di realismo e non di utopia. Trasformare in ulcera la piaga di Gaza non aiuta né a sostenere Israele né favorisce la pace. Il direttore dell’ Osservatore ribadisce oggi che il Vaticano «è e rimane amico di Israele». Lo pensa soprattutto papa Ratzinger e per questo vuole che una nuova politica arrivi anche ad abbattere il Muro nella terra di Cristo.