Sobre a desigualdade no capitalismo: Francisco e Piketty

Per i teo-con il cristianesimo è il cemento dell’Occidente, l’impronta morale sul capitalismo, la fortezza da difendere contro la secolarizzazione e l’Islam. Ora attaccano il Papa sostenendo che è comunista o che deraglia dalla dottrina millenaria: argomenti ricorrenti delle destre reazionarie.




::  É possível criticar o capitalismo? – Claudio Sardo: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
Um tuíte do Papa Francisco semeou o pânico entre os teocon e, mais em geral, entre aqueles que entendem o capitalismo como a religião natural do homem moderno. “A desigualdade é a raiz dos males sociais”: essa é a mensagem lançada no dia 28 de abril pela conta @Pontifex. Não se trata, na verdade, de uma novidade absoluta. A expressão é a síntese de uma frase mais complexa da Evangelii gaudium, a exortação apostólica que constitui até agora o “manifesto programático” de Francisco. O problema é que, apenas em italiano, o termo inequità atenua a força da condenação moral. Em inglês, inequality significa desigualdade. Em alemão, ungleichheit é traduzido como desigualdade. E assim também em espanhol, a língua do papa: a palavra inequidad não permite outra tradução que desigualdade. Em suma, não há mais uma desigualdade iníqua a condenar e uma mais mórbida a perseguir: a raiz do mal é a “economia do descarte” que torna os homens cada vez mais desiguais. O impacto não podia não ser traumático, especialmente nos Estados Unidos, onde imediatamente se desencadeou uma intensa polêmica nas redes sociais. Estamos falando dos próprios fundamentos da ética do capitalismo. A desigualdade não é mais um mal necessário, o custo inevitável de um mecanismo social que, contudo, assegura desenvolvimento e dividendos para a comunidade. É a sua justificação moral que desaparece. E isso ocorre enquanto a crise está mudando os próprios paradigmas da ciência econômica. Não é apenas o Papa Francisco que deslegitima a ética do capitalismo e a ideia de uma “naturalidade” sua. Agora, a nata dos economistas explica, com os números em mãos, que o crescimento das desigualdades nas sociedades avançadas está favorecendo o decrescimento, a recessão, a ruptura das redes de coesão social. Faz refletir o sucesso nas livrarias norte-americanas do último livro do francês Thomas Piketty. O filão é o mesmo de Joseph Stiglitz e de Paul Krugman: o preço da desigualdade já é insustentável na própria perspectiva do mercado e do desenvolvimento. A análise é do jornalista italiano Claudio Sardo, em editorial publicado no jornal L’Unità em 01/05/2014.

Leia o texto completo.

O original, em italiano:

:: Si può criticare il capitalismo? – Claudio Sardo: L’Unità 01/05/2014

Un twitter di Papa Francesco ha seminato il panico fra i teo-con e, più in generale, fra quanti intendono il capitalismo come la religione naturale dell’uomo moderno. «L’inequità è la radice dei mali sociali»: è il messaggio lanciato il 28 aprile dall’account @Pontifex. Non si tratta, a dire il vero, di una novità assoluta. L’espressione è la sintesi di un più complesso periodo della Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica che costituisce finora il «manifesto programmatico» di Francesco. Il problema è che soltanto nella lingua italiana il termine inequità attenua la forza della condanna morale. In inglese inequality vuol dire ineguaglianza. In tedesco ungleichheit si traduce con diseguaglianza. E così anche in spagnolo, la lingua del Papa: la parola inequidad non consente altra traduzione che diseguaglianza. Insomma, non c’è più una diseguaglianza iniqua da condannare e una più morbida da perseguire: la radice del male è l’«economia dello scarto» che rende gli uomini sempre più diseguali.

L’impatto non poteva non essere traumatico, soprattutto negli Stati Uniti dove si è scatenata immediatamente una vivace polemica sui social network. Stiamo parlando dei fondamenti stessi dell’etica del capitalismo. La diseguaglianza non è più un male necessario, il costo inevitabile di un meccanismo sociale che comunque assicura sviluppo e dividendi per la comunità. È la sua giustificazione morale a venir meno. E questo avviene mentre la crisi sta cambiando i paradigmi stessi della scienza economica. Non c’è soltanto Papa Francesco a delegittimare l’etica del capitalismo e l’idea di una sua «naturalità». Ormai il fior fiore degli economisti spiega, numeri alla mano, che la crescita delle diseguaglianze nelle società avanzate sta favorendo la decrescita, la recessione, la rottura delle reti di coesione sociale. Fa riflettere il successo nelle librerie americane dell’ultimo libro del francese Thomas Piketty. Il filone è lo stesso di Joseph Stiglitz e di Paul Krugman: il prezzo della diseguaglianza è ormai insostenibile nella prospettiva stessa del mercato e dello sviluppo.

Tornano alla mente gli articoli di Michael Novak, guida intellettuale dei teo-con, a commento della Evangelii gaudium. L’avversione era netta. Anche se la critica trattenuta da ragioni diplomatiche. A Novak non era sfuggito nel testo del Papa la contestazione più radicale al cuore del capitalismo, e cioè alla teoria della «ricaduta favorevole». Non è vero, ha scritto il Papa, che «ogni crescita economica, favorita dal libero mercato» produce maggiore equità e inclusione sociale. «Questa opinione, mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante». Quel participio, «sacralizzati», è spietato: denuncia ogni tentativo di assimilare il capitalismo alla natura o alla religione.

C’è nuovo materiale per discutere le diversità tra culture cattoliche e protestanti. La prospettiva di Francesco, comunque, non è quella di aggiornare la dottrina sociale della Chiesa. Non gli interessa una terza via cattolica tra il liberismo e il marxismo. Né tra il mercato e lo Stato. Alla Chiesa chiede di stare evangelicamente con i poveri e di guardare il mondo dal loro punto di vista. Di gridare le ingiustizie che altri non denunciano. Di offrire al mondo, ai cattolici in special modo, una riserva di pensiero critico sulla contemporaneità. Questo non è il solo mondo possibile. Non c’è sfiducia, o delegittimazione della politica. Anzi, Papa Francesco mostra di avere un’idea alta della politica (il contrario del populismo). Ma devono svolgerla i laici, i cittadini del mondo, di cui i credenti sono parte. Se i cattolici hanno un segno particolare, è quello di non fare un «idolo» di questa economia o di qualche altra ideologia.

Per i teo-con il cristianesimo è il cemento dell’Occidente, l’impronta morale sul capitalismo, la fortezza da difendere contro la secolarizzazione e l’Islam. Ora attaccano il Papa sostenendo che è comunista o che deraglia dalla dottrina millenaria: argomenti ricorrenti delle destre reazionarie. Per Francesco vale invece, come per Paolo VI, il principio di «non appagamento» della politica. I governi, i partiti devono fare di tutto per il bene comune, ma qualunque soluzione sarà sempre criticabile e perfettibile. Il pensiero critico resta la risorsa più preziosa a disposizione dell’uomo.

Anche a sinistra c’è chi farebbe volentieri a meno del principio di uguaglianza. Nel dibattito di questi anni è entrata a sinistra, eccome, la parola «equità» proprio per ammorbidire il senso dell’uguaglianza e per tenersi nel mainstream. Ma così la sinistra si è allontanata dalle contraddizioni reali. Nell’illusione di conquistare la modernità ha pagato un tributo al pensiero unico. La radicalità sta soprattutto nel pensiero, nella libertà di sottrarsi all’omologazione. La politica concreta sarà comunque e sempre un compromesso. Il problema è se nel compromesso la sinistra si sentirà appagata, o penserà ancora a un domani più giusto.

:: Livro de economia lidera lista de mais vendidos da Amazon – Andrea Freitas: Notícias: IHU On-Line  28/04/2014
Desigualdade social em quase 700 páginas de um livro. O assunto, a princípio, pode não atrair a curiosidade de tantas pessoas, mas “Capital In The Twenty-First Century” (O Capital no Século XXI, em tradução livre), do economista francês Thomas Piketty, alcançou nesta semana o primeiro lugar na lista dos livros mais vendidos da Amazon, superando títulos como “Frozen” e “Game of Thrones”. Logo após o lançamento da edição em inglês, no mês passado, o livro já aparecia entre os 100 mais vendidos da varejista on-line. Além disso, foi elogiado por críticos e economistas. Piketty, de 42 anos, é professor na Escola de Economia de Paris e seu livro trata da história e do futuro da desigualdade, a concentração de riqueza e as perspectivas de crescimento econômico. A tese central do livro — cujo título é uma alusão a “O Capital”, de Karl Marx — é que a desigualdade não é um acidente, mas uma característica do capitalismo e os excessos só podem ser alterados por meio da intervenção estatal. O trabalho argumenta que, a não ser que o capitalismo seja reformado, a ordem democrática será ameaçada. A reportagem é de Andrea Freitas, publicada pelo jornal O Globo em 27/04/2014.

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:: “O Capital” de Thomas Piketty: tudo o que você precisa saber sobre o surpreendente best-seller –  Paul Mason: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
Que o capitalismo é injusto já foi dito antes. Mas é a forma como Thomas Piketty o diz – sutilmente mas com uma lógica implacável – o que levou os economistas da direita a um frenezi, tanto aqui [na Inglaterra] quanto nos Estados Unidos. O seu livro – intitulado “Capital in the Twenty-First Century” [O capital no século XXI] – disparou na lista entre os mais vendidos no site Amazon. Tê-lo consigo, em alguns ambientes de Manhattan, se tornou a mais nova ferramenta para se conectar socialmente com jovens progressistas. Ao mesmo tempo, seu autor vem sendo condenado como neomarxista por comentaristas de direita. Afinal, qual a causa de tudo isso? O argumento de Piketty é que, numa economia onde a taxa de rendimento sobre o capital supera a taxa de crescimento, a riqueza herdada sempre crescerá mais rapidamente do que a riqueza conquistada. Assim, o fato de que filhos ricos podem passar de um ano sabático sem rumo a um emprego no banco, na rede de televisão, etc., do pai – enquanto os filhos pobres continuam transpirando dentro de seus uniformes – não é acidental: é o sistema funcionando normalmente. Se se tem um crescimento lento junto de rendimentos financeiros melhores, então a riqueza herdada irá, na média, “superar a riqueza acumulada de uma vida toda de trabalho por uma ampla margem”, diz Piketty. A riqueza irá se concentrar em níveis incompatíveis com a democracia, irá abandonar a justiça social. Em suma, o capitalismo cria automaticamente níveis de desigualdade que são insustentáveis. A crescente riqueza daquele 1% não é um episódio isolado nem mera retórica. O comentário é de Paul Mason, editor cultural e digital do Channel 4 News, em artigo publicado por The Guardian em 28/04/2014.

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:: Piketty, um problema para a direita – J. Bradford DeLong: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
“Todo mundo certamente discorda de 10% a 20% da argumentação de Piketty e todo mundo têm dúvidas sobre talvez outros 10% a 20%. Mas, em ambos os casos, cada leitor tem seus próprios 10% a 20% pessoais. Em outras palavras, há um consenso majoritário de que cada parte do livro é, de modo geral, correta, o que significa haver um quase consenso de que a argumentação geral do livro é, grosso modo, correta”, escreve J. Bradford DeLong, ex-vice-secretário assistente do Tesouro dos EUA, professor de Economia na Universidade da Califórnia em Berkeley e pesquisador associado ao Birô Nacional de Pesquisa Econômica, em artigo publicado pelo jornal Valor em 02/05/2014. No periódico online “The Baffler”, Kathleen Geier tentou recentemente fazer um apanhado geral da crítica conservadora ao novo livro “Capital in the Twenty-First Century”, de Thomas Piketty. O espantoso, para mim, é como revela-se fraca a abordagem da direita contra os argumentos de Piketty. A argumentação do autor é detalhada e complicada. Mas cinco pontos parecem particularmente relevantes.

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O livro:

O original, em francês: PIKETTY, T. Le Capital au XXIe siècle. Paris: Seuil, 2013, 970 p. – ISBN 9782021082289.

Em inglês: Capital in the Twenty-First Century. Cambridge: The Belknap Press of Harvard University Press, 2014, 696 p. – ISBN 9780674430006.

Para Kindle, em inglês, na amazon.com.br, aqui.  Em português: lançamento em 01/11/2014 – capa comum e Kindle.

A entrevista de Lula aos blogueiros

A entrevista de Lula aos blogueiros no dia 8 deste mês ainda é polêmico assunto.

:: Conceição Lemes, 33 anos de estrada: Resposta em público a O Globo – Conceição Lemes: Vi o mundo 16/04/2014
Conceição Lemes acusa Globo de querer promover uma caça aos blogueiros progressistas: “Um macartismo à brasileira”, em referência ao movimento dos EUA da década de 40 que se caracterizou por intensa patrulha anticomunista, perseguição política e dersrespeito aos direitos civis.

:: Com dor de cotovelo, Globo ataca blogueiros – Brasil 24/7: 17/04/2014
Com uma matéria intitulada “A entrevista dos camaradas”, o jornal O Globo, liderado por João Roberto Marinho coloca em questão time de blogueiros convidados pelo Instituto Lula para entrevista exclusiva com o ex-presidente Lula na semana passada.

A entrevista aconteceu no dia 8 de abril de 2014.

:: Em entrevista a blogueiros, Lula defende Constituinte e regulação da mídia – Vi o mundo: 08/04/2014
O ex-presidente Luiz Inácio Lula da Silva pediu o fim da “boataria” sobre sua possível candidatura à presidência da república nas eleições deste ano. Em evento com blogueiros em São Paulo nesta terça-feira [8 de abril de 2014], Lula descartou a hipótese de se lançar como candidato e endossou seu apoio a Dilma Rousseff.

:: Lula manda recados na entrevista a blogueiros; ouça a íntegra – Vi o mundo: 09/04/2014
Na nossa interpretação, alguns dos recados…

Leia Mais:
Encontro de Lula com a blogosfera brasileira em 24 de novembro de 2010

Ucrânia: outras leituras

Olererê, Baiana,
eu ia e não vou mais…
Eu faço
que vou
lá dentro, oh Baiana,
e volto do meio p’ra trás…

Guimarães Rosa, Grande Sertão: Veredas

Ucrânia, negócio EUA−Rússia – Pepe Escobar: Redecastorphoto 07/04/2014
Quando vocês estiverem lendo isso, a Rússia já terá invadido a Ucrânia. Pelo menos, é o que o Supremo Comandante Aliado da Organização do Tratado do Atlântico Norte, Otan, o general da Força Aérea dos EUA, Philip Breedlove, anda espalhando. Breedlove-Supremo diz que os russos estão “prontos p’ra sair em ataque” e podem facilmente tomar o leste da Ucrânia. A imprensa-empresa ocidental já tirou do armário os coletes à prova de bala. Mas comparem-se Breedlove-Supremo e um diplomata adulto, o Ministro de Relações Exteriores da Rússia, Sergey Lavrov, que pediu à Otan que por favor desescale essa retórica pró-guerra “irracional”, que também inclui pôr fim oficial a toda a cooperação civil e militar com a Rússia e movimentos militares no Leste da Europa. Enquanto a Otan – abreviatura de Divisão Europeia do Pentágono – entra em surto, sobretudo quando fala seu Secretário-Geral, o ridículo Anders Fogh Rasmussen, dinamarquês, que está de partida, vejamos o que realmente se passa, baseados em vazamentos dos dois campos, de Lavrov e do Secretário de Estado dos EUA, John Kerry. O coração da matéria – encoberto por uma barreira de histeria – é que nem Washington nem Moscou querem que a Ucrânia apodreça como ferida purulenta. Moscou disse a Washington, oficialmente, que não tem intenção de “invadir” a Ucrânia. E Washington contou a Moscou que, apesar de toda sua retórica demente, não quer expandir a Otan nem para a Ucrânia, nem para a Geórgia (continua).

Leia Mais:
Ucrânia: leituras

A lenga-lenga da direita continua

A narrativa que a direita fabrica, consome e distribui para justificar o golpe de 1964: a teoria dos dois demônios

Teoria dos dois demônios é apenas farsa histórica – Breno Altman: 24/7 – 01.04.2014

O cinquentenário do golpe militar traz à baila narrativa que a direita gloriosamente fabrica para enquadrar o episódio. Núcleo fundamental do teorema: os militares romperam a Constituição e tomaram o poder, com amplo da burguesia brasileira, para se anteciparem a supostos planos golpistas de João Goulart e seus aliados. Setores mais lúcidos e malandros do conservadorismo (entre os quais, obviamente, não estão correntes abertamente fascistas) até reconhecem crimes e atropelos da ditadura. Mas a alternativa fardada é apresentada como um demônio que a outro se contrapunha. Os artífices desta explicação reconhecem que a truculência do diabo verde-oliva, de posse dos aparatos de Estado, excedeu a violência de seu inimigo vermelho. Resolvem esse detalhe, porém, valorando a sedição dos quartéis como remédio amargo e exagerado à doença que estaria tomando conta do corpo pátrio e se preparava para o bote final. O roteiro se completa com uma determinada dissertação sobre os desdobramentos de 1968, quando a ditadura impõe o Ato Institucional nº 5. Até então, segundo os teóricos das opções infernais, vivia-se período de autoritarismo brando, que teria sido desafiado pelo surgimento da resistência armada. O endurecimento do regime militar, assim, seria consequência dos mau-modos da besta vermelha, que teriam provocado o descontrole do belzebu das casernas. Nos últimos dias, esta tese tem sido brandida por diversas vozes, com uma ou outra variação. Está presente, por exemplo, nos editoriais da Folha e do Estado, nos quais a mea-culpa vem maquiada e travestida por estas supostas condições históricas. Pesquisadores mequetrefes e penas de aluguel, da extirpe de Marco Antônio Villa, também cantam nesse coro. Sequer um jornalista renomado como Elio Gaspari escapa da tentação de flertar com esta interpretação fuleira. O mais curioso são as pontes erguidas por Fernando Henrique Cardoso e José Serra, vítimas e adversários do golpe, em direção à teoria da dualidade demoníaca, provavelmente no intuito de manter os atuais laços entre a nova e a velha direita, aliança que corresponde ao núcleo duro da oposição contra os governos liderados pelo PT. A questão central é que a ladainha dos infernos está apoiada sobre uma dupla mentira. Não havia qualquer plano ou operação em curso, dirigida por Jango ou os demais protagonistas de esquerda, com o objetivo de executar as reformas prometidas por fora da via institucional e das possibilidades previstas na Constituição. Tampouco a luta armada foi efetivamente implementada, apesar de moralmente legítima desde o putsch militar, antes que os caminhos legais tivessem sido fechados pela decretação do AI-5. O levante de 1964 foi urdido aos poucos, ao longo de quinze anos. Quem estiver interessado, basta ler sobre a fundação da Escola Superior de Guerra, em 1949, depois que o general Salvador César Obino regressa de uma visita ao National War College, nos Estados Unidos, no alvorecer da tensão com a União Soviética.

Leia o texto completo.

1964: mais leituras

Cinquenta anos atrás, na noite de hoje, o Brasil deixou de ser um país de instituições ativas, independentes e democráticas. Por 21 anos, mais de duas décadas, nossas instituições, nossa liberdade, nossos sonhos foram calados. Hoje, nós podemos olhar para esse período e aprender com ele, porque nós o ultrapassamos. O esforço de cada um de nós, o esforço de todas as lideranças do passado, daqueles que vivem e daqueles que morreram, fizeram com que nós ultrapassássemos essa época. O dia de hoje exige que nós nos lembremos e contemos o que aconteceu. Devemos isso a todos os que morreram e desapareceram, devemos aos torturados e aos perseguidos, devemos às suas famílias, devemos a todos os brasileiros. Se existem filhos sem pais, se existem pais sem túmulos, se existem túmulos sem corpos, nunca, nunca, mas nunca mesmo, pode existir uma história sem voz. E quem dá voz à história são os homens e as mulheres livres que não têm medo de escrevê-la. (Presidenta Dilma Rousseff – 31/03/2014)

:: Brasil, a construção interrompida: Impactos e consequências do golpe de 1964 – IHU On-Line #439

:: Memórias da Ditadura, um especial nos 50 anos do Golpe Militar – Jornal GGN

:: 1964, um golpe na democracia – EBC

 

1964: leituras

Para que não se esqueça, para que nunca mais aconteça (Dom Paulo Evaristo Arns)

:: ‘Quantos morreram? Tantos quanto foram necessários’, diz coronel sobre ditadura – Notícias: IHU On-Line 27/03/2014
Desde que a Comissão Nacional da Verdade (CNV) foi criada, em maio de 2012, apenas quatro agentes da ditadura haviam aparecido nas convocações para depor em audiência pública, e apenas dois haviam confirmado a prática, ou a existência, de tortura. O coronel reformado Paulo Malhães se tornou o quinto a depor e o primeiro a admitir a participação em tantos crimes. O carro embicou no pátio do Arquivo Nacional, no Centro do Rio, e o corre-corre da imprensa se amontoando ao seu redor começou: “Chegou! Em depoimento que durou mais de duas horas, ele confirmou que torturou, matou e ocultou cadáveres de presos políticos na ditadura militar. Na audiência pública, a CNV apresentou o que se sabe sobre a Casa da Morte de Petrópolis, um centro clandestino mantido pelo regime militar no início da década de 1970. Malhães era um dos agentes ativos no centro de tortura – cujo nome vem da fama de que ninguém saía dali vivo. A única sobrevivente é Inês Etienne Romeu, presa e torturada por seis meses em 1971. Foi graças à sua memória e perseverança que a existência da casa veio à tona, em 1981. A reportagem é de Júlia Dias Carneiro e foi publicada pela BBC Brasil em 26/03/2014.

:: Coronel ensinou tortura no RS – Notícias: IHU On-Line 29/03/2014
O coronel reformado que estarreceu o país na terça-feira, ao revelar à Comissão Nacional da Verdade que matou, desfigurou e ocultou cadáveres de presos políticos durante a ditadura militar, ensinou técnicas de tortura a repressores gaúchos. Agente do Centro de Informações do Exército (CIE), Paulo Malhães chegou a Porto Alegre em abril de 1970. Missão: eliminar grupos guerrilheiros que conflagravam o Estado. Apreciava martirizar três ou quatro ao mesmo tempo, o que denominava “dança de São Guido” – ritual macabro da Idade Média. Fazia fila para torturar, não tinha pudor. A reportagem é de Nilson Mariano e foi publicada no jornal Zero Hora em 28/03/2014.

:: A partir de 1971, ordem era matar – Notícias: IHU On-Line 22/03/2014
Pouco tempo depois, com a entrada de Carlos Lamarca na VAR, foi feita a maior ação armada da esquerda em todos os tempos, o roubo do cofre do Adhemar [de Barros]. Foi um sobrinho da Ana Capriglione [amante de Adhemar], Gustavo Buarque Schiller, que passou a dica. Ele contava que parte da grana do cofre vinha da venda de um estoque de vacina de varíola que Adhemar tinha revendido ao Paraguai depois de mandar vacinar as crianças paulistas com placebo. Gustavo foi preso em abril de 70 e trocado no sequestro do embaixador suíço [Giovanni Enrico Bücher]. Casou em Paris, mas nunca mais se acertou na vida. Depois que voltou do exílio chegou a nos visitar no Rio. Um dia, voltando de uma festa se jogou da janela de seu apartamento na avenida Rui Barbosa. Tinha uma filhinha de 1 ano. Depois da ação do cofre, meu aparelho caiu. Quando o Pedro Seelig [delegado do Dops de Porto Alegre] entrou com policiais armados de metralhadora, me pegou fazendo faxina. Eles nos vendavam na hora que nos prendiam, o que aumentava a sensação de desamparo. Fui torturada pelo major Átila Rohrsetzer, que era colega de turma do [coronel Brilhante] Ustra e diretor da Divisão Central de Informações do III Exército. Me mandaram tirar a roupa e ele me espancava me jogando de um lado para o outro. A gente deu sorte de ter sido preso ainda em 70, porque, a partir de 71, a ordem da ditadura era matar. A gente pelo menos tinha um IPM instaurado. O depoimento é de Vera Saavedra Durão, jornalista, em artigo publicado no jornal Valor em 14/03/2014.

:: Empresários que apoiaram o golpe de 64 construíram grandes fortunas – Notícias: IHU On-Line 29/03/2014
Com mestrado na Pontifícia Universidade Católica (PUC) de São Paulo sobre os empresários e o golpe de 64 e em fase de conclusão do doutorado sobre os empresários e a Constituição de 1988, o professor Fabio Venturini esmiuçou os detalhes de “como a economia nacional foi colocada em função das grandes corporações nacionais, ligadas às corporações internacionais e o Estado funcionando como grande financiador e impulsionador deste desenvolvimento, desviando de forma legalizada — com leis feitas para isso — o dinheiro público para a atividade empresarial privada”. Venturini cita uma série de empresários que se deram muito bem durante a ditadura militar, como o banqueiro Ângelo Calmon de Sá (ligado a Antonio Carlos Magalhães, diga-se) e Paulo Maluf (empresário que foi prefeito biônico, ou seja, sem votos, de São Paulo). Na outra ponta, apenas dois empresários se deram muito mal com o golpe de 64: Mário Wallace Simonsen, um dos maiores exportadores de café, dono da Panair e da TV Excelsior; e Fernando Gasparian. Ambos eram nacionalistas e legalistas. A Excelsior, aliás, foi a única emissora que chamou a “Revolução” dos militares de “golpe” em seu principal telejornal. A reportagem é de Luiz Carlos Azenha, publicada por Viomundo em  27/03/2014.

25 de março de 2014: Marco Civil aprovado

Câmara aprova texto que contraria interesses poderosos, garante direitos aos internautas e trata a comunicação como direito fundamental, e não uma mercadoria . Como isso foi possível?

Marco Civil aprovado: dia histórico para a liberdade de expressão – Pedro Ekman e Bia Barbosa: CartaCapital 26/03/2014

Guardem o dia 25 de março de 2014 na memória. Este dia será lembrado como o dia do Marco Civil da Internet em todo o mundo. Neste dia, a Câmara dos Deputados aprovou um projeto de lei que tem todas as características de um projeto impossível de ser aprovado numa Casa como essa. A principal delas: o fato de contrariar interesses econômicos poderosos ao garantir direitos dos cidadãos e cidadãs. O Marco Civil da Internet aprovado aponta claramente para o tratamento da comunicação como um direito fundamental e não apenas como um negócio comercial. Trata-se de algo inédito na história brasileira, que só foi possível por um conjunto de fatores.

Leia o texto completo. Que pode se acessado também aqui.

1964: um golpe contra o povo brasileiro

1964. Um golpe civil-militar. Impactos, (des)caminhos, processos – IHU On-Line 437 – Ano XIV 17.03.2014

  • Jorge Ferreira:  Memória revisitada – O golpe e seu contexto histórico-político
  • Carlos Fico: A democracia brasileira derrubada pela “democracia” norte-americana
  • Pedro Cezar Fonseca: A modernização conservadora como modelo econômico
  • Cecília Coimbra: “A história do Brasil é a história da tortura”
  • Rodrigo Patto Sá Motta: Repressão e modernização: impactos do regime militar nas universidades
  • João Vicente Goulart: Comício da Central do Brasil – Propostas de mudanças socioeconômicas na estrutura do País
  • Nelson Piletti: Dom Hélder Câmara, uma vida de transformação e resistência

O Instituto Humanitas Unisinos – IHU, por meio de duas edições da IHU On-Line (esta e um segundo número, a ser lançado em 31/03/2014), assim como do Ciclo de Estudos 50 anos do Golpe de 64: Impactos, (des)caminhos, processos, faz mais do que resgatar a história e seus impactos em nossas sociedades. Busca realizar um manifesto à memória, à vida e ao direito de ser e viver em um país livre. Em sinal de respeito a todas as vítimas — os sobreviventes e os que tiveram menos sorte —, apresentamos esta edição.

Jorge Ferreira, professor da Universidade Federal Fluminense, resgata a história do país e traça um panorama das disputas pelo poder no Brasil republicano.

Já Carlos Fico, professor titular de História do Brasil na UFRJ, analisa as articulações políticas e militares entre Brasil e Estados Unidos que culminaram com o Golpe Civil-Militar de 1964.

Pedro Cezar Fonseca, professor da Universidade Federal do Rio Grande do Sul – UFRGS, defende que a apropriação das reformas de Jango pelos militares mostra a relevância de sua implementação — que só não ocorreu anteriormente por motivos estritamente políticos.

O professor Rodrigo Patto Sá Motta, da Universidade Federal de Minas Gerais, explora os impactos do regime na educação universitária do país, que seguia paralelamente modelos autoritários e modernizadores.

Cecília Coimbra, psicóloga e diretora da ONG Tortura Nunca Mais, destaca a vigência da violência naturalizada durante a Ditadura Militar, mas que sempre fez parte da historiografia do país.

João Vicente Goulart, diretor do Instituto Presidente João Goulart, por sua vez, aborda a importância do comício de Jango na Central do Brasil e defende que o golpe não foi contra a presidência, mas contra o povo brasileiro.

Historiador e autor de livros sobre Dom Hélder Câmara, Nelson Piletti descreve o papel do arcebispo de Olinda e Recife na resistência à ditadura militar.

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Marco Civil da Internet: teles x brasileiros

Eduardo Cunha, líder do PMDB na Câmara, é apontado como o mais ferrenho defensor dos interesses das empresas de Telefonia. Ele foi presidente da Telerj, então estatal do Rio de Janeiro, que fazia parte do sistema Telebrás, privatizado no final dos anos 90. Processo licitatório, por sinal, que ficou marcado por fortes suspeitas de um esquema para direcionar o resultado a um consórcio liderado pelo Banco Opportunity, de Daniel Dantas.

Marco Civil da Internet. Por trás da disputa política, a força das Teles – Notícias: IHU On-Line 20/03/2014

De olho no financiamento eleitoral, PMDB defende interesse das Teles no Marco Civil da Internet e se une à oposição para derrotar governo; projeto coletivo pode ficar desfigurado. A reportagem é de Felipe Seligman e publicada pela Agência Pública em 19/03/2014.

No dia 6 de novembro do ano passado, a bancada do PMDB, segunda maior da Câmara, se reuniu no Congresso Nacional para ouvir com exclusividade o que Eduardo Levy, diretor executivo do Sindicato das Empresas de Telefonia (Sinditelebrasil), tinha a falar contra o projeto do Marco Civil da Internet, que já naquela época trancava a pauta da casa. Uma didática exposição concentrava as principais críticas sobre a tão falada neutralidade da rede e defendia a desnecessidade de um projeto sobre o assunto.

Diante das informações prestadas, o deputado Fábio Trad (PMDB-MS) levantou a mão. “A pergunta que eu faço ao Levy é a seguinte: se hoje nós temos uma desigualdade, afinal de contas todos pagam em tese o mesmo por serviços diferentes, existe algum estudo que demonstre prejuízo financeiro às empresas, às Teles, por exemplo, em virtude dessa igualdade diante de serviços diferentes?”

A resposta veio em seguida. “Não é que o projeto provoque prejuízo às Teles. O que está em jogo ai é que o projeto provoca uma necessidade de investimento maior para manter o nível de serviço igualitário, que acarretará, ao fim, no aumento do custo para o usuário”, afirmou um convicto Eduardo. Não o Levy, como seria de se esperar, mas Eduardo Cunha, líder do PMDB na Câmara, e apontado como o mais ferrenho defensor dos interesses das empresas de Telefonia nessa questão.

O objetivo da palestra de Levy era municiar os deputados peemedebistas para o debate que ocorreria naquele mesmo dia, à tarde, também convocado por Cunha, com a Comissão do Marco Civil. O encontro entre a bancada e o representante das Teles, disponível no Youtube, demonstra bem o grau de confusão de interesses na bancada do Marco Civil da Internet, que se agravou com a disputa política entre PMDB e o governo Dilma durante a votação do projeto neste ano, seguidamente adiada.

O Marco Civil, como o próprio nome diz, refere-se à criação de princípios básicos, uma espécie de Constituição de direitos e deveres fundamentais a serem seguidos no mundo digital. Trata-se de uma matéria que envolve interesses complexos e difíceis de serem equacionados. Algo que, por mais técnico que pareça, terá repercussão direta na sua sua vida e na dos 100 milhões de brasileiros conectados.

As regras a serem definidas no Marco Civil terão repercussão direta na vida dos brasileiros – não apenas dos já conectados na dos que ainda irão se conectar. Também afetarão instituições tão diversas quanto as próprias empresas de Telecomunicação, como Oi, Telefônica ou Tim; os provedores de conteúdo, entre eles Google, Facebook; a sociedade civil organizada; a Polícia Federal e o Ministério Público; e até mesmo as relações internacionais do governo Dilma Rousseff.

O projeto que está para ser votado, e que corre o risco de ser desfigurado no Congresso, é resultado da mobilização da sociedade e de um processo democrático acompanhado de perto pela pesquisadora Juliana Nolasco, da Faculdade de Direito da Fundação Getúlio Vargas de São Paulo. Ela trabalhou no Ministério da Cultura, que participou do início do processo de elaboração do Marco Civil, e atualmente, já fora do governo, finaliza uma dissertação de mestrado sobre o tema. Para nos guiar ao longo dessa reportagem, ela destacou alguns momentos-chave da discussão.

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O Marco Civil da Internet é um projeto de lei que estabelece princípios, garantias, direitos e deveres dos usuários da Internet. Ele vai funcionar como uma espécie de “Constituição da Internet”. A necessidade dessa “Constituição” veio sobretudo porque, após 18 anos de uso da Internet no Brasil, não há qualquer lei que estabeleça diretrizes para proteger os direitos do cidadão nas redes – que, hoje, estão constantemente ameaçados por uma série de práticas do mercado.

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