Sobre a desigualdade no capitalismo: Francisco e Piketty

Per i teo-con il cristianesimo è il cemento dell’Occidente, l’impronta morale sul capitalismo, la fortezza da difendere contro la secolarizzazione e l’Islam. Ora attaccano il Papa sostenendo che è comunista o che deraglia dalla dottrina millenaria: argomenti ricorrenti delle destre reazionarie.




::  É possível criticar o capitalismo? – Claudio Sardo: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
Um tuíte do Papa Francisco semeou o pânico entre os teocon e, mais em geral, entre aqueles que entendem o capitalismo como a religião natural do homem moderno. “A desigualdade é a raiz dos males sociais”: essa é a mensagem lançada no dia 28 de abril pela conta @Pontifex. Não se trata, na verdade, de uma novidade absoluta. A expressão é a síntese de uma frase mais complexa da Evangelii gaudium, a exortação apostólica que constitui até agora o “manifesto programático” de Francisco. O problema é que, apenas em italiano, o termo inequità atenua a força da condenação moral. Em inglês, inequality significa desigualdade. Em alemão, ungleichheit é traduzido como desigualdade. E assim também em espanhol, a língua do papa: a palavra inequidad não permite outra tradução que desigualdade. Em suma, não há mais uma desigualdade iníqua a condenar e uma mais mórbida a perseguir: a raiz do mal é a “economia do descarte” que torna os homens cada vez mais desiguais. O impacto não podia não ser traumático, especialmente nos Estados Unidos, onde imediatamente se desencadeou uma intensa polêmica nas redes sociais. Estamos falando dos próprios fundamentos da ética do capitalismo. A desigualdade não é mais um mal necessário, o custo inevitável de um mecanismo social que, contudo, assegura desenvolvimento e dividendos para a comunidade. É a sua justificação moral que desaparece. E isso ocorre enquanto a crise está mudando os próprios paradigmas da ciência econômica. Não é apenas o Papa Francisco que deslegitima a ética do capitalismo e a ideia de uma “naturalidade” sua. Agora, a nata dos economistas explica, com os números em mãos, que o crescimento das desigualdades nas sociedades avançadas está favorecendo o decrescimento, a recessão, a ruptura das redes de coesão social. Faz refletir o sucesso nas livrarias norte-americanas do último livro do francês Thomas Piketty. O filão é o mesmo de Joseph Stiglitz e de Paul Krugman: o preço da desigualdade já é insustentável na própria perspectiva do mercado e do desenvolvimento. A análise é do jornalista italiano Claudio Sardo, em editorial publicado no jornal L’Unità em 01/05/2014.

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O original, em italiano:

:: Si può criticare il capitalismo? – Claudio Sardo: L’Unità 01/05/2014

Un twitter di Papa Francesco ha seminato il panico fra i teo-con e, più in generale, fra quanti intendono il capitalismo come la religione naturale dell’uomo moderno. «L’inequità è la radice dei mali sociali»: è il messaggio lanciato il 28 aprile dall’account @Pontifex. Non si tratta, a dire il vero, di una novità assoluta. L’espressione è la sintesi di un più complesso periodo della Evangelii gaudium, l’esortazione apostolica che costituisce finora il «manifesto programmatico» di Francesco. Il problema è che soltanto nella lingua italiana il termine inequità attenua la forza della condanna morale. In inglese inequality vuol dire ineguaglianza. In tedesco ungleichheit si traduce con diseguaglianza. E così anche in spagnolo, la lingua del Papa: la parola inequidad non consente altra traduzione che diseguaglianza. Insomma, non c’è più una diseguaglianza iniqua da condannare e una più morbida da perseguire: la radice del male è l’«economia dello scarto» che rende gli uomini sempre più diseguali.

L’impatto non poteva non essere traumatico, soprattutto negli Stati Uniti dove si è scatenata immediatamente una vivace polemica sui social network. Stiamo parlando dei fondamenti stessi dell’etica del capitalismo. La diseguaglianza non è più un male necessario, il costo inevitabile di un meccanismo sociale che comunque assicura sviluppo e dividendi per la comunità. È la sua giustificazione morale a venir meno. E questo avviene mentre la crisi sta cambiando i paradigmi stessi della scienza economica. Non c’è soltanto Papa Francesco a delegittimare l’etica del capitalismo e l’idea di una sua «naturalità». Ormai il fior fiore degli economisti spiega, numeri alla mano, che la crescita delle diseguaglianze nelle società avanzate sta favorendo la decrescita, la recessione, la rottura delle reti di coesione sociale. Fa riflettere il successo nelle librerie americane dell’ultimo libro del francese Thomas Piketty. Il filone è lo stesso di Joseph Stiglitz e di Paul Krugman: il prezzo della diseguaglianza è ormai insostenibile nella prospettiva stessa del mercato e dello sviluppo.

Tornano alla mente gli articoli di Michael Novak, guida intellettuale dei teo-con, a commento della Evangelii gaudium. L’avversione era netta. Anche se la critica trattenuta da ragioni diplomatiche. A Novak non era sfuggito nel testo del Papa la contestazione più radicale al cuore del capitalismo, e cioè alla teoria della «ricaduta favorevole». Non è vero, ha scritto il Papa, che «ogni crescita economica, favorita dal libero mercato» produce maggiore equità e inclusione sociale. «Questa opinione, mai confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante». Quel participio, «sacralizzati», è spietato: denuncia ogni tentativo di assimilare il capitalismo alla natura o alla religione.

C’è nuovo materiale per discutere le diversità tra culture cattoliche e protestanti. La prospettiva di Francesco, comunque, non è quella di aggiornare la dottrina sociale della Chiesa. Non gli interessa una terza via cattolica tra il liberismo e il marxismo. Né tra il mercato e lo Stato. Alla Chiesa chiede di stare evangelicamente con i poveri e di guardare il mondo dal loro punto di vista. Di gridare le ingiustizie che altri non denunciano. Di offrire al mondo, ai cattolici in special modo, una riserva di pensiero critico sulla contemporaneità. Questo non è il solo mondo possibile. Non c’è sfiducia, o delegittimazione della politica. Anzi, Papa Francesco mostra di avere un’idea alta della politica (il contrario del populismo). Ma devono svolgerla i laici, i cittadini del mondo, di cui i credenti sono parte. Se i cattolici hanno un segno particolare, è quello di non fare un «idolo» di questa economia o di qualche altra ideologia.

Per i teo-con il cristianesimo è il cemento dell’Occidente, l’impronta morale sul capitalismo, la fortezza da difendere contro la secolarizzazione e l’Islam. Ora attaccano il Papa sostenendo che è comunista o che deraglia dalla dottrina millenaria: argomenti ricorrenti delle destre reazionarie. Per Francesco vale invece, come per Paolo VI, il principio di «non appagamento» della politica. I governi, i partiti devono fare di tutto per il bene comune, ma qualunque soluzione sarà sempre criticabile e perfettibile. Il pensiero critico resta la risorsa più preziosa a disposizione dell’uomo.

Anche a sinistra c’è chi farebbe volentieri a meno del principio di uguaglianza. Nel dibattito di questi anni è entrata a sinistra, eccome, la parola «equità» proprio per ammorbidire il senso dell’uguaglianza e per tenersi nel mainstream. Ma così la sinistra si è allontanata dalle contraddizioni reali. Nell’illusione di conquistare la modernità ha pagato un tributo al pensiero unico. La radicalità sta soprattutto nel pensiero, nella libertà di sottrarsi all’omologazione. La politica concreta sarà comunque e sempre un compromesso. Il problema è se nel compromesso la sinistra si sentirà appagata, o penserà ancora a un domani più giusto.

:: Livro de economia lidera lista de mais vendidos da Amazon – Andrea Freitas: Notícias: IHU On-Line  28/04/2014
Desigualdade social em quase 700 páginas de um livro. O assunto, a princípio, pode não atrair a curiosidade de tantas pessoas, mas “Capital In The Twenty-First Century” (O Capital no Século XXI, em tradução livre), do economista francês Thomas Piketty, alcançou nesta semana o primeiro lugar na lista dos livros mais vendidos da Amazon, superando títulos como “Frozen” e “Game of Thrones”. Logo após o lançamento da edição em inglês, no mês passado, o livro já aparecia entre os 100 mais vendidos da varejista on-line. Além disso, foi elogiado por críticos e economistas. Piketty, de 42 anos, é professor na Escola de Economia de Paris e seu livro trata da história e do futuro da desigualdade, a concentração de riqueza e as perspectivas de crescimento econômico. A tese central do livro — cujo título é uma alusão a “O Capital”, de Karl Marx — é que a desigualdade não é um acidente, mas uma característica do capitalismo e os excessos só podem ser alterados por meio da intervenção estatal. O trabalho argumenta que, a não ser que o capitalismo seja reformado, a ordem democrática será ameaçada. A reportagem é de Andrea Freitas, publicada pelo jornal O Globo em 27/04/2014.

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:: “O Capital” de Thomas Piketty: tudo o que você precisa saber sobre o surpreendente best-seller –  Paul Mason: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
Que o capitalismo é injusto já foi dito antes. Mas é a forma como Thomas Piketty o diz – sutilmente mas com uma lógica implacável – o que levou os economistas da direita a um frenezi, tanto aqui [na Inglaterra] quanto nos Estados Unidos. O seu livro – intitulado “Capital in the Twenty-First Century” [O capital no século XXI] – disparou na lista entre os mais vendidos no site Amazon. Tê-lo consigo, em alguns ambientes de Manhattan, se tornou a mais nova ferramenta para se conectar socialmente com jovens progressistas. Ao mesmo tempo, seu autor vem sendo condenado como neomarxista por comentaristas de direita. Afinal, qual a causa de tudo isso? O argumento de Piketty é que, numa economia onde a taxa de rendimento sobre o capital supera a taxa de crescimento, a riqueza herdada sempre crescerá mais rapidamente do que a riqueza conquistada. Assim, o fato de que filhos ricos podem passar de um ano sabático sem rumo a um emprego no banco, na rede de televisão, etc., do pai – enquanto os filhos pobres continuam transpirando dentro de seus uniformes – não é acidental: é o sistema funcionando normalmente. Se se tem um crescimento lento junto de rendimentos financeiros melhores, então a riqueza herdada irá, na média, “superar a riqueza acumulada de uma vida toda de trabalho por uma ampla margem”, diz Piketty. A riqueza irá se concentrar em níveis incompatíveis com a democracia, irá abandonar a justiça social. Em suma, o capitalismo cria automaticamente níveis de desigualdade que são insustentáveis. A crescente riqueza daquele 1% não é um episódio isolado nem mera retórica. O comentário é de Paul Mason, editor cultural e digital do Channel 4 News, em artigo publicado por The Guardian em 28/04/2014.

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:: Piketty, um problema para a direita – J. Bradford DeLong: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
“Todo mundo certamente discorda de 10% a 20% da argumentação de Piketty e todo mundo têm dúvidas sobre talvez outros 10% a 20%. Mas, em ambos os casos, cada leitor tem seus próprios 10% a 20% pessoais. Em outras palavras, há um consenso majoritário de que cada parte do livro é, de modo geral, correta, o que significa haver um quase consenso de que a argumentação geral do livro é, grosso modo, correta”, escreve J. Bradford DeLong, ex-vice-secretário assistente do Tesouro dos EUA, professor de Economia na Universidade da Califórnia em Berkeley e pesquisador associado ao Birô Nacional de Pesquisa Econômica, em artigo publicado pelo jornal Valor em 02/05/2014. No periódico online “The Baffler”, Kathleen Geier tentou recentemente fazer um apanhado geral da crítica conservadora ao novo livro “Capital in the Twenty-First Century”, de Thomas Piketty. O espantoso, para mim, é como revela-se fraca a abordagem da direita contra os argumentos de Piketty. A argumentação do autor é detalhada e complicada. Mas cinco pontos parecem particularmente relevantes.

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O livro:

O original, em francês: PIKETTY, T. Le Capital au XXIe siècle. Paris: Seuil, 2013, 970 p. – ISBN 9782021082289.

Em inglês: Capital in the Twenty-First Century. Cambridge: The Belknap Press of Harvard University Press, 2014, 696 p. – ISBN 9780674430006.

Para Kindle, em inglês, na amazon.com.br, aqui.  Em português: lançamento em 01/11/2014 – capa comum e Kindle.

Tomás: enviado para incomodar

:: Memória – Militância – Missão. Enviado para incomodar: Tomás Balduíno – Paulo Suess: Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
“Dom Tomás Balduíno era uma memória viva da pastoral indigenista da Igreja Católica. Ele enriqueceu essa pastoral com a herança dominicana, viva em pessoas como Las Casas, António de Montesinos e Chenu. A pastoral indigenista pós-conciliar foi forjada na resistência à ditadura militar, à falácia do progresso e às promessas da integração sistêmica. Essa resistência perpassa uma mancha de sangue de testemunhas qualificados na grande tribulação – precursores da páscoa definitiva”, escreve Paulo Suess, teólogo, assessor teológico do Conselho Indigenista Missionário – CIMI. Segundo ele, “D. Tomás defendeu os povos indígenas no templo e no pretório. Acompanhou a história do Cimi marcada por testemunhas qualificadas. Na trajetória de sua longa e abençoada vida de mais de 90 anos, muitas sementes, que o confessor Balduíno lançou, se multiplicaram nos corações e territórios dos povos indígenas. Nenhum inverno político ou eclesiástico conseguiu sufocá-los por baixo de um cobertor de gelo neoliberal ou neoagostiniano”.

:: Tomás, o Dom: Jelson Oliveira, em nome da Comissão Dominicana de Justiça e Paz do Brasil – Notícias: IHU On-Line 04/05/2014
Dom Tomás vestiu chapéus e cocares bem antes das mitras e solidéus. Carregou enxadas e foices nas mesmas mãos com as quais erguia báculos e cruzes. Aprendeu, viveu e ensinou que o poder evangélico é sempre um exercício de serviço.  Por isso, dançou com os indígenas, caminhou com os sem-terra, montou jegues, cavalos e aeronaves, sentou com presidentes, empinou bandeiras, abraçou árvores e gentes ao redor do mundo. Despertou raivas, desgostou uns tantos, provocou muitos. Tinha a suavidade de antigos amigos e a aspereza dos grandes profetas. Resistiu o que pôde. Agarrou-se à vida com todos os seus instintos. Agora, na doença. Antes, na saúde, na jovialidade e na sanidade de sua longa vida dedicada à causa da terra.

:: Dom Tomás Balduíno, doutor da fé – Marcelo Barros: Fenajufe 05/05/2014
Tive a graça de Deus de conviver com ele e, por um bom tempo, morar na mesma casa. Fui seu amigo e assessor desde 1977 até agora, quando a sua partida nos separou. Ainda há poucos dias, conversávamos sobre como apoiar a renovação da Igreja proposta pelo papa Francisco e ajudar as Igrejas locais a assumí-la. Assim como Dom Hélder Câmara, no Brasil, Dom Oscar Romero, em El Salvador e Dom Samuel Ruiz, no sul do México, Dom Tomás soube revitalizar a missão do bispo como profeta da Palavra de Deus para o mundo. Para os oprimidos do mundo, ele foi realmente, como escreveu o profeta João no Apocalipse: “irmão e companheiro nas tribulações e no testemunho do reino” (Ap 1, 9). Exatamente, por essa sua compreensão da fé e do ministério episcopal, Dom Tomás tornou-se mesmo para não crentes testemunha autorizada de Jesus, ilustre doutor da fé e de uma espiritualidade libertadora. Ele nunca restringiu sua missão ao âmbito da Igreja. Soube sempre ser uma presença de irmão e companheiro solidário com as lutas sociais do povo, aliado incondicional dos lavradores e dos índios na sua legítima e evangélica luta pela terra e por uma vida digna.