Martini e Doré apresentam livro do Papa em Paris

No dia 18 de maio de 2007, o La Croix, de Paris, anunciou:

Le “Jésus” de Benoît XVI, présenté par le cardinal Martini et Mgr Doré
À l’initiative de la librairie La Procure, l’ouvrage de Joseph Ratzinger/Benoît XVI fera l’objet d’une présentation exceptionnelle à Paris, au palais de l’Unesco le mercredi 23 mai (à 10 h 45), veille de la sortie du livre en France. Ce Jésus de Nazareth sera présenté et commenté par le cardinal Carlo Maria Martini, jésuite et exégète, archevêque émérite de Milan, et par Mgr Joseph Doré, sulpicien et théologien, archevêque émérite de Strasbourg. Cette table ronde sera animée par Michel Kubler, rédacteur en chef religieux de La Croix – notre journal étant partenaire, de même que la chaîne catholique de télévision KTO, de cet événement placé sous le haut patronage de la Conférence des évêques de France et de Mgr Fortunato Baldelli, nonce apostolique à Paris. Maison de l’Unesco (Salle XII), 7, place Fontenoy, 75007 Paris.

E no dia 23 de maio:

Le cardinal Martini est venu à Paris présenter le livre de Benoît XVI
Suite de la sortie mondiale du “Jésus de Nazareth” de Joseph Ratzinger-Benoît XVI, jeudi 24 mai dans les librairies françaises, avec une présentation prestigieuse à l’Unesco.
Il ne manquait que le pape. Mercredi 23 mai au matin, dans la prestigieuse enceinte de l’Unesco à Paris, le cardinal Carlo Maria Martini, archevêque émérite de Milan, et Mgr Joseph Doré, archevêque émérite de Strasbourg, présentaient l’ouvrage de Benoît XVI intitulé Jésus de Nazareth, pour la sortie française de l’ouvrage, ce jeudi dans les librairies. Il ne manquait en effet que le pape, ou plutôt le théologien Joseph Ratzinger, puisque les deux éminents professeurs, invités en cette enceinte par la Librairie Éditrice Vaticane et la librairie parisienne La Procure, se sont livrés à une analyse théologique serrée de ce livre “privé” de Benoît XVI, sous la conduite du P. Michel Kubler, rédacteur en chef religieux de La Croix. Après l’accueil par Mgr André Vingt-Trois, archevêque de Paris, le cardinal Martini, exégète de renommée internationale, a ouvert le propos, passant en revue points forts et points faibles de l’entreprise éditoriale du théologien devenu pape. “Dans un esprit de liberté “, a tenu à préciser le jésuite italien, ajoutant, non sans malice qu’ “il ne sera pas facile pour un catholique de contredire ce qui est écrit dans ce livre” (cont.)

Há um vídeo do evento na página da televisão KTO, onde se lê:
Table ronde autour du livre de Benoît XVI, avec :
Carlo-Maria Cardinal Martini, exégète, Archevêque émérite de Milan
Mgr Joseph Doré, Théologien, Archevêque émérite de Strasbourg
Modérateur : Père Michel Kubler, Assomptionniste, Rédacteur en chef du quotidien La Croix.
Sous le haut patronnage de la Conférence Episcopale Française et de son Excellence le Nonce Apostolique, Mgr Fortunato Baldelli.

Há uma tradução italiana – com alguns cortes (?) – da palestra de Martini no Corriere della Sera do dia 24 de maio de 2007. Que causou certa controvérsia ao colocar como título da palestra de Martini: “Ammiro il Gesù di Ratzinger, ma non è l’unico”. E, em seguida, destacou: Martini: “Una lettura alla luce di Fede e Ragione, che si oppone al metodo storico-critico”.

Martini fez a apresentação do livro a partir de cinco questões:
1. Quem é o autor deste livro?
2. Qual é o tema tratado?
3. Quais são suas fontes?
4. Qual é o seu método?
5. Que avaliação se deve fazer do livro como um todo?

 

«Ammiro il Gesù di Ratzinger, ma non è l’unico»

Martini: «Una lettura alla luce di Fede e Ragione, che si oppone al metodo storico-critico»

Cercherò di rispondere a cinque domande: 1. Chi è l’autore di questo libro? 2. Qual è l’argomento di cui parla? 3. Quali sono le sue fonti? 4. Qual è il suo metodo? 5. Che giudizio dare sul libro nel suo insieme?

1. L’autore di questo libro è Joseph Ratzinger, che è stato professore di teologia cattolica in varie Università tedesche a partire dagli anni Cinquanta e, in questa veste, ha seguito l’evolversi e le diverse vicissitudini della ricerca storica su Gesù; ricerca che si è sviluppata anche presso i cattolici nella seconda metà del secolo scorso. L’autore ora è Vescovo di Roma e Papa con il nome di Benedetto XVI. Qui si pone già una possibile questione: è il libro di un professore tedesco e di un cristiano convinto, oppure è il libro di un Papa, con il conseguente rilievo del suo magistero? In verità, per quanto riguarda l’essenziale della domanda, è l’autore stesso nella prefazione a rispondere con franchezza: «Non ho bisogno di dire espressamente che questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore”. Perciò, ciascuno è libero di contraddirmi. Chiedo soltanto alle lettrici e ai lettori di farmi credito della benevolenza senza la quale non c’è comprensione possibile» (p.19). Siamo pronti a fare questo credito di benevolenza, ma pensiamo che non sarà facile per un cattolico contraddire ciò che è scritto in questo libro. Comunque, tenterò di considerarlo con uno spirito di libertà. Tanto più che l’autore non è esegeta, ma teologo, e sebbene si muova agilmente nella letteratura esegetica del suo tempo, non ha fatto studi di prima mano per esempio sul testo critico del Nuovo Testamento. Infatti, non cita quasi mai le possibili varianti dei testi, né entra nel dibattito circa il valore dei manoscritti, accettando su questo punto le conclusioni che la maggior parte degli esegeti ritengono valide.

2. Di cosa parla? Il libro ha come titolo Gesù di Nazaret. Penso che il vero titolo dovrebbe essere Gesù di Nazaret ieri e oggi. E questo perché l’autore passa con facilità dalla considerazione dei fatti che riguardano Gesù all’importanza di quest’ultimo per i secoli seguenti e per la nostra Chiesa. Il libro è pieno di allusioni a problematiche contemporanee. Per esempio, parlando della tentazione nella quale dal demonio viene offerto a Gesù il dominio del mondo, egli afferma che il «suo vero contenuto diventa visibile quando constatiamo che, nella storia, essa prende continuamente una forma nuova. L’Impero cristiano ha cercato molto presto di trasformare la fede in un fattore politico per l’unità dell’Impero… La debolezza della fede, la debolezza terrena di Gesù Cristo doveva essere sostenuta dal potere politico e militare. Nel corso dei secoli questa tentazione—assicurare la fede mediante il potere—si è ripresentata continuamente» (p. 59). Questo genere di considerazioni sulla storia successiva a Gesù e sull’attualità, conferiscono al libro un’ampiezza e un sapore che altri libri su Gesù, in genere più preoccupati dalla discussione meticolosa dei soli eventi della sua vita, non hanno. L’autore dà anche volentieri parola ai Padri della Chiesa e ai teologi antichi. Per esempio, per quanto concerne la parola greca epiousios, egli cita Origene, il quale dice che, nella lingua greca, «questo termine non esiste in altri testi e che è stato creato dagli Evangelisti» (p. 177). Circa l’interpretazione della domanda del Padre Nostro «E non indurci in tentazione», egli richiama l’interpretazione di San Cipriano e precisa: «Così dobbiamo riporre nelle mani di Dio i nostri timori, le nostre speranze, le nostre risoluzioni, poiché il demonio non può tentarci se Dio non gliene dà il potere» (p. 187). Quanto alla storia di Gesù, il libro è incompleto, perché considera solo gli eventi che vanno dal Battesimo alla Trasfigurazione. Il resto sarà materia di un secondo volume. In questo primo volume sono trattati il Battesimo, le tentazioni, i discorsi, i discepoli, le grandi immagini di San Giovanni, la professione di fede di Pietro e la Trasfigurazione, con una conclusione sulle affermazioni di Gesù su se stesso. L’autore parte spesso da un testo o da un evento della vita di Gesù per interrogarsi sul suo significato per le generazioni future e per la nostra generazione. In questo modo il libro diventa una meditazione sulla figura storica di Gesù e sulle conseguenze del suo avvento per il tempo presente. Egli mostra che, senza la realtà di Gesù, fatta di carne e di sangue, «il cristianesimo diviene una semplice dottrina, un semplice moralismo e una questione dell’intelletto, ma gli mancano la carne e il sangue» (p. 270). L’autore si preoccupa molto di ancorare la fede cristiana alle sue radici ebraiche. Gesù, ci dice Mosè, «è il profeta pari a me che Dio susciterà… a lui darete ascolto» (Deuteronomio, 18,15) (p. 22). Ora, Mosé aveva incontrato il Signore.EIsraele può sperare in un nuovo Mosè, che incontrerà Dio come un amico incontra il proprio amico,ma al quale non sarà detto, come a Mosè, «Tu non potrai vedere il mio volto» (Esodo, 33,20). Gli sarà dato di «vedere realmente e direttamente il volto di Dio e di potere così parlare a partire da questa visione» (p. 25). E’ quel che dice il prologo del Vangelo di Giovanni: «Dio, nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Giovanni 1,18). «E’ qui il punto a partire dal quale è possibile comprendere la figura di Gesù» (p. 26). E’ in questo reciproco intrecciarsi di conoscenze storiche e di conoscenze di fede, dove ognuno di questi approcci mantiene la propria dignità e la propria libertà, senza mescolanza e senza confusione, che si riconosce il metodo proprio dell’autore, di cui parleremo più avanti.

3. Quali sono le sue fonti? L’autore non ne tratta direttamente, come spesso avviene in diverse opere dello stesso genere. Forse ne parlerà all’inizio del secondo volume, prima di affrontare i Vangeli dell’infanzia di Gesù. Ma si vede con chiarezza che egli segue da vicino il testo dei quattro Vangeli e gli scritti canonici del Nuovo Testamento. Egli propone anche una lunga discussione sul valore storico del Vangelo di Giovanni, respingendo l’interpretazione di Rudolf Bultmann, accettando in parte quella di Martin Hengel e criticando anche quella di alcuni autori cattolici, per poi esporre una propria sintesi, vicina alla tesi di Hengel, sebbene con un equilibrio e un ordine diversi. La conclusione è che il quarto Vangelo «non fornisce semplicemente una sorta di trascrizione stenografica delle parole e delle attività di Gesù, ma, in virtù della comprensione nata dal ricordo, ci accompagna, al di là dell’aspetto esteriore, fin nella profondità delle parole e degli eventi; in quella profondità che viene da Dio e che conduce verso Dio» (p. 261). Penso che non tutti si riconosceranno nella sua descrizione dell’autore del quarto Vangelo quando egli dice: «Lo stato attuale della ricerca ci consente perfettamente di vedere in Giovanni, il figlio di Zebedeo, il testimone che risponde con solennità della propria testimonianza oculare identificandosi anche come il vero autore del Vangelo» (p.252).

4. Tutto questo rivela con chiarezza il metodo dell’opera. Si oppone fermamente a quello che recentemente è stato chiamato, in particolare nelle opere del mondoanglosassone americano, «l’imperialismo del metodo storico-critico». Egli riconosce che tale metodo è importante, tuttavia corre il rischio di frantumare il testo come sezionandolo, rendendo così incomprensibili i fatti ai quali il testo si riferisce. Egli piuttosto si propone di leggere i vari testi rapportandoli all’insieme della Scrittura. In questo modo, si scopre «che esiste una direzione in tale insieme, che il Vecchio e ilNuovo Testamento non possono essere dissociati. Certo, l’ermeneutica cristologica, che vede in Gesù Cristo la chiave dell’insieme e, partendo da lui, comprende la Bibbia come un’unità, presuppone un atto di fede, e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questo atto di fede è intrinsecamente portatore di ragione, di una ragione storica: permette di vedere l’unità interna della Scrittura e, attraverso questa, di acquisire una comprensione nuova delle diverse fasi del suo percorso, senza togliere ad esse la loro originalità storica» (p. 14). Ho fatto questa lunga citazione per mostrare come, nel pensiero dell’autore, ragione e fede siano implicate e «reciprocamente intrecciate», ciascuna con i suoi diritti e il proprio statuto, senza confusione né cattiva intenzione dell’una verso l’altra. Egli rifiuta la contrapposizione tra fede e storia, convinto che il Gesù dei Vangeli sia una figura storica e che la fede della Chiesa non possa fare a meno di una certa base storica. Ciò significa, in pratica, che l’autore, come dice egli stesso a pagina 17, «ha fiducia nei Vangeli», pur integrando quanto l’esegesi moderna ci dice. E da tutto questo scaturisce un Gesù reale, un «Gesù storico» nel senso proprio del termine. La sua figura «è molto più logica e storicamente comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni» (p. 17). L’autore è convinto che «è soltanto se qualcosa di straordinario si è verificato, se la figura e le parole di Gesù hanno superato radicalmente tutte le speranze e tutte le attese dell’epoca che si spiega la sua crocifissione e la sua efficacia», e questo alla fine porta i suoi discepoli a riconoscergli il nome che il profeta Isaia e tutta la tradizione biblica avevano riservato solo a Dio (cf. pp.17-18). Applicando questo metodo alla lettura delle parole e dei discorsi di Gesù, che comprende parecchi capitoli del libro, l’autore rivela di essere persuaso «che il tema più profondo della predicazione di Gesù era il suo proprio mistero, il mistero del Figlio, nel quale Dio è presente e nel quale egli adempie la sua parola» (p. 212). Questo è vero per il Sermone della montagna in particolare, a cui sono dedicati due capitoli, per il messaggio delle parabole e per le altre grandi parole di Gesù. Come dice l’autore affrontando la questione giovannea, cioè il valore storico del Vangelo di Giovanni e soprattutto delle parole che egli fa dire a Gesù, così diverse dai Vangeli sinottici, il mistero dell’unione di Gesù con il Padre è sempre presente e determina l’insieme, pur restando nascosto sotto la sua umanità (cf. p. 245). In conclusione, bisogna «che noi leggiamo la Bibbia, e in particolare i Vangeli come unità e totalità —come richiesto dalla natura stessa della parola scritta di Dio — che, in tutti i suoi strati storici, è l’espressione di un messaggio intrinsecamente coerente» (p. 215).

5. Se tale è il metodo di lettura dell’autore, cosa dobbiamo pensare della riuscita globale dell’opera, al di là del numero di copie vendute nel mondo intero, che tutto sommato non è un indice particolarmente significativo del valore del libro? L’autore confessa che questo libro «è il risultato di un lungo cammino interiore» (p. 19). Se pure ha cominciato a lavorarvi durante l’estate 2003, il libro è tuttavia il frutto maturo di una meditazione e di uno studio che hanno occupato un’intera vita. Ne ha tratto la conseguenza che «Gesù non è un mito, che è un uomo di carne e di sangue, una presenza tutta reale nella storia. Noi possiamo seguire le strade che ha preso. Possiamo udire le sue parole grazie ai testimoni. E’ morto ed è risuscitato ». Questa opera è quindi una grande e ardente testimonianza su Gesù di Nazareth e sul suo significato per la storia dell’umanità e per la percezione della vera figura di Dio. E’ sempre confortante leggere testimonianze come questa. A mio avviso, il libro è bellissimo, si legge con una certa facilità e ci fa capire meglio Gesù Figlio di Dio e al tempo stesso la grande fede dell’autore. Ma esso non si limita al solo dato intellettuale. Ci indica la via dell’amore di Dio e del prossimo, come quando spiega la parabola del buon Samaritano: «Ci accorgiamo che tutti noi abbiamo bisogno dell’amore salvifico che Dio ci dona, al fine di essere anche noi capaci di amare, e che abbiamo bisogno di Dio, che si fa nostro prossimo, per riuscire ad essere il prossimo di tutti gli altri» (p. 226). Pensavo anch’io, verso la fine della mia vita, di scrivere un libro su Gesù come conclusione dei lavori che ho svolto sui testi del Nuovo Testamento. Ora, mi sembra che questa opera di Joseph Ratzinger corrisponda ai miei desideri e alle mie attese, e sono molto contento che lo abbia scritto. Auguro a molti la gioia che ho provato io nel leggerlo.

Traduzione dal francese di Daniela Maggioni

Carlo Maria Martini – 25 maggio 2007

 

Sobre o cardeal Carlo Maria Martini, leia mais aqui.

Geza Vermes resenha livro do Papa sobre Jesus

Como é do conhecimento da maioria, o Papa Bento XVI publicou recentemente um livro sobre Jesus de Nazaré.

Agora, uma resenha de Geza Vermes no Times começou a provocar alguma repercussão entre os biblioblogueiros, como Jim Davila, em Paleojudaica e Mark Goodacre, em NT Gateway Weblog.

Que tem mais a ver com as posições de Geza Vermes do que com as do Papa sobre o Jesus Histórico. E que interessa no debate sobre a terminologia utilizada pelos especialistas na pesquisa sobre o assunto, como se pode ver aqui e aqui.

 

Jesus of Nazareth

By Pope Benedict XVI, reviewed by Geza Vermes – May 19 2007, The Times

The scholar Ratzinger bravely declares that he and not the Pope is the author of the book and that everyone is free to contradict him

I LEARNT ABOUT the imminent appearance of Pope Benedict XVI’s book on Jesus at the University of Princeton about four weeks ago. I attended there an international conference on methodology in the quest of the historical Jesus where I was to give the opening address. The title, Jesus of Nazareth, not “Jesus, the Son of God” or something similar, seemed to imply that the Pope was one of us, a seeker after historical truth. Indeed, his preface explicitly states that his study incorporates modern historical criticism, and is intended to portray Jesus as an “historical” figure “in the strict sense of the word”. I must confess, however, that my initial reaction was overoptimistic.

(…)

Yet I must protest against the reiterated papal claim that the divine Christ of faith – the product of his musings – and the historical Jesus – the Galilean itinerant healer, exorcist and preacher – are one and the same. In the absence of a stringent linguistic, literary and historical analysis of the Gospels, especially of their many contradictory statements, the identification is without foundation. One must declare groundless Benedict’s appeal to “canonical exegesis”, an exercise in biblical theology whereby any text from the Old or the New Testament can serve to explain any other biblical text. Such an approach to biblical studies would force back Catholic Bible experts, already the objects of frequent papal disapproval in Jesus of Nazareth, to a preCopernican stage of history.

As a final comment, may I, after a lifetime of study of Judaism and early Christianity and in the light of hundreds of letters inspired by my books, voice the conviction that the powerful, inspirational and, above all, real figure of the historical Jesus is able to exercise a profound influence on our age, especially on people who are no longer impressed by traditional Christianity. While scholarly exegesis removes some of the mystery enveloping the church’s Christ, it does not throw out the baby with the bathwater. Contrary to Pope Benedict’s forebodings, the world would welcome this authentic Jesus.

 

Bible scholar rips pope’s book, warns of chilling effect

By John L. Allen Jr. – National Catholic Reporter: May 19, 2008

A leading New Testament scholar, and former Catholic priest, has criticized Pope Benedict XVI’s 2007 book on the Gospels, Jesus of Nazareth, saying that its insistence on identifying the historical Jesus with the Christ of traditional Christian faith has “turned back the clock” on modern scholarship.

The comments from Geza Vermes, author of the acclaimed book Jesus the Jew and a longtime professor at Oxford, came during a summit of leading Western intellectuals May 16-17 in Lugano, Switzerland, devoted to the theme of “truth.” The gathering was sponsored by the Balzan Foundation, which awards the Swiss-Italian equivalent of the Nobel Prize.

Vermes spoke as part of a panel on religious approaches to truth that also included Swiss Cardinal Georges Cottier, former theologian of the Papal Household under Pope John Paul II.

Vermes devoted his presentation to arguing that on the basis of the New Testament, the image of Jesus that emerges is that of a charismatic, wonder-working Jewish holy man, and thus not the divine Son of God claimed by later Christian tradition.

The Greek-influenced version of Christianity developed by St. Paul and elaborated across centuries of Christian theological reflection, Vermes said, “would have perplexed Jesus the Jew.”

In that connection he criticized the pope’s book, warning that it could have a chilling effect on Catholic Biblical scholarship.

“In Jesus of Nazareth, published under the alias of Joseph Ratzinger, the pope declares that the Gospels’ Christ of faith is the historical Jesus, thus turning the clock back by several centuries,” Vermes said.

“Pope Benedict bravely invites fellow scholars to contradict him, if they feel so inclined, but the big question is whether Catholic Biblical experts will have the courage to join Ratzinger’s independent critics,” he said.

Cottier did not directly respond to Vermes’ critique, though during his own remarks at the Lugano symposium Cottier said that some scholars have pushed the distinction between the historical Jesus and the Christ of faith “to an extreme degree,” and said these issues were laid out in the “beautiful book” of Benedict XVI.

Cottier’s presentation was largely devoted to the Christian understanding of truth as grounded in the person of Christ, based on Cottier’s reading of the prologue to the Gospel of John.

During a later question-and-answer session, Vermes pointedly asked Cottier if he had even used the word “Jesus” during his speech – implicitly suggesting that the presentation was an example of dislodging the historical Jesus in favor of the Christ of faith.

Cottier replied that he referred to “Christ” because that’s the language of John’s Gospel, and that he did not intend to downplay the historical person of Jesus.

Vermes is a former Catholic priest. Born in Hungary to Jewish parents, his family converted when he was seven to evade rising anti-Semitism in pre-war Europe. Vermes lost both parents to the Holocaust, and after the war was ordained in the Order of Sion. He left the priesthood and the church in 1957 and returned to his Jewish roots, and later became the first professor of Jewish Studies at Oxford.

In the field of Biblical scholarship, Vermes is usually seen as a leading exponent of a movement that began to crest in the 1970s, seeing Jesus not in terms of the Greco-Roman religious context of late antiquity but rather in terms of first century Judaism in Palestine. Vermes was among the first scholars to write a doctoral dissertation on the Dead Sea Scrolls, which he completed in 1953 at the Catholic University of Leuven in Belgium.

I spoke with Vermes May 17 on the margins of the Lugano symposium.

 

In a nutshell, what’s your objection to the pope’s book?

I reviewed the book in the Times of London, where I called it “pre-Copernican.” It’s the way he approaches the problem. He claims to be following the historical method, but when it takes him somewhere he doesn’t want to go, it’s no good. He even criticizes Catholic New Testament experts.

He’s obviously fond of the work of the Jewish scholar Jacob Neusner, who seems to believe that the historical Jesus understood himself to be more or less what Christians think of as the Christ of faith.

Jacob Neusner is a very old friend of mine. We’re bosom pals. My impression, however, is that when it comes to the Gospels, Neusner is pulling our legs. Suddenly he becomes almost a fundamentalist Christian in the interpretation of the New Testament, only in order to disagree with it at the end. But it’s a very useful argument for the pope, because here’s this unbelieving Jew who’s acknowledging what the pope really thinks.

Would you give the pope credit at least for being conversant with modern Biblical scholarship?

As far as I can see, he’s conversant with the kind of scholarship he studied as a student. Apart from Neusner, however, he doesn’t seem aware of any scholarship that dates from after 1970. Of course, the pope was never trained as an exegete. I’m not sure how well he knows the languages involved. There are a few funny bits in the book that experts in Judaism at the time of Jesus wouldn’t say.

Can you give an example?

At one point the pope refers to Joachim Jeremias on the word talya, which means “lamb.” What Jeremias said was quite correct, but the pope misquotes him. He has Jeremias saying the word is Hebrew, when in fact it’s Aramaic. It doesn’t seem to me that he’s had any serious training in this area. I’m sure he had some Biblical Hebrew, because it was compulsory in German seminary training of his day.

We have to remember that the pope’s area is dogmatic theology and the church Fathers, not the interpretation of the New Testament from a historical point of view. … Another example is his identification of the author of the fourth gospel with the apostle John, which is something most scholars today wouldn’t accept. It’s important for the pope’s argument, however, because he wants to claim direct apostolic witness for that gospel.

The pope wants to reconcile traditional doctrinal beliefs about Christ with what we find in the New Testament. Are you saying that’s just not possible?

It’s possible, if you follow the reasoning. Historical scholars distinguish between the Jesus of history and the Christ of faith. If you admit this distinction, you can then argue that the Christ of faith is an interpretation of the historical Jesus. You can hold this point of view, as long as it can be argued in a rational way.

But you don’t think the pope succeeds?

He seems to claim that the Christ of faith simply is the historical Jesus. Even most Catholic Biblical scholars, however, admit that Jesus himself did not make many of the claims that later Christian interpretation would make about his person and his teaching.

You also asserted that the pope’s book will have a ‘chilling effect’ on Catholic Biblical scholarship, despite his invitation to criticize his work.

I think that must be the case, though I would be very pleased to be proved wrong.

Have you seen any evidence of such a chilling effect?

Well, I haven’t seen any Catholic Biblical scholars making critical pronouncements about the book. Maybe it’s too soon, but this is what I fear. I wonder if the bishops would consider it proper to allow their theologians to contradict the pope, even with the pope’s permission.

O debate sobre o livro Inchiesta su Gesù continua

Para acompanhar o polêmico debate sobre o livro de Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù, um bom lugar é a página de Mauro Pesce.

 

AUGIAS, C.; PESCE, M. Inchiesta su Gesù: chi era l’uomo che ha cambiato il mondo. Milano: Mondadori, [2006] 2017, 265 p. – ISBN 9788804679998

AUGIAS, C. ; PESCE, M. A Vida de Jesus Cristo: O Homem que mudou o Mundo. Queluz de Baixo: Editorial Presença, 2008, 216 p. – ISBN 9789722339124

 

Ressurreição de Cristo pode ter sido alucinação, diz livro polêmico – Por Assimina Vlahou – BBC Brasil: 08 de fevereiro de 2007

Um best-seller que coloca em dúvida vários episódios da vida de Jesus está causando grande polêmica na Itália, às vésperas da publicação do primeiro livro do papa sobre Cristo.

Os autores de Inquérito sobre Jesus, que está há várias semanas na lista dos livros mais vendidos do país, dizem, entre outras coisas, que a ressurreição de Jesus pode ter sido fruto de alucinação de seu seus discípulos.

O livro traz uma entrevista com o professor de História especializado em cristianismo Mauro Pesce, da Universidade de Bolonha, conduzida pelo jornalista Corrado Augias.

Nele, Augias e Pesce questionam, além da ressurreição, data e local do nascimento de Cristo, que Maria tenha dado à luz permanecendo virgem, e que Cristo tivesse intenção de fundar uma nova religião.

Desde que foi lançada, no fim do ano passado, a obra já vendeu 450 mil cópias na Itália. Deve ser ainda publicada no Brasil.

Releitura

No capítulo dedicado à ressurreição de Jesus, definido por eles como o mais delicado, Augias e Pesce especulam que o episódio – um dos fundamentos da fé cristã – pode ter sido apenas fruto de alucinação dos discípulos.

“Muitas visões, inclusive as mais recentes, como as de Fátima, indicam que o visionário acabou vendo realmente o que desejava ver”, diz o texto.

O livro aponta imprecisões nos cálculos que determinaram a data de nascimento de Jesus.

“Não sabemos até que ponto podemos confiar em Luca (um dos evangelistas), que escreveu 50 anos depois da morte de Cristo, com base em informações de terceiros”, escrevem os autores.

Outra tese do livro, uma das que mais provocaram reações negativas nos ambientes católicos, sustenta que Jesus não tinha intenção de fundar uma nova religião, e se limitava a pregar aos judeus mantendo-se fiel tradição da religião hebraica.

“Ele nunca tentou converter os não-judeus. Isto seria feito depois de sua morte, por alguns seguidores e pelas igrejas cristãs, mudando bastante o que Jesus pregava e praticava.”

‘Ataque’

O jesuíta Giuseppe De Rosa, da influente revista semanal Civiltà Cattolica – cujo conteúdo passa sempre pelo aval da secretaria de Estado do Vaticano – disse que o livro é um “ataque frontal à fé cristã”.

Em artigo na revista, De Rosa afirma que a pesquisa “nega o cristianismo em sua totalidade e as verdades cristãs essenciais”, e que ela define os evangelhos canônicos como “lacunosos e manipulados”.

Em um longo artigo publicado no jornal Avvenire, da conferência episcopal italiana, o padre Raniero Cantalamessa, predicador da casa pontifícia, criticou o livro por defender a tese de que “o Jesus autêntico não é o da igreja”.

Padre Cantalamessa colocou em dúvida as fontes usadas pelos autores, como os evangelhos considerados não oficiais pela igreja católica.

Defesa

Para os autores do livro, ambos conhecidos e respeitados na Itália, não há nada na pesquisa que possa ofender a fé cristã.

“Não é a oposição entre o que Jesus foi e o que a igreja pensa ter sido, mas entre o que as pessoas sabem e o que as pessoas não sabem”, declarou Pesce em entrevista à BBC Brasil.

Ele disse que o livro se baseia quase totalmente nos quatro evangelhos canônicos (oficiais), embora também tenha usado outras fontes.

“Os estudos dos últimos 30 anos revolucionaram as teorias tradicionais. Agora, avalia-se a relação entre os vários textos. Em alguns casos os evangelhos apócrifos (não reconhecidos pela igreja) dão informações muito importantes”, afirmou.

O livro aumentou ainda mais as discussões sobre o passado e a vida de Jesus Cristo, assunto amplamente comentado no mundo católico com as teses levantadas por bestsellers como O Código Da Vinci – que dizia, entre outras coisas, que Jesus e Maria Madalena viveram juntos e procriaram.

Mas o Vaticano está reagindo. Em abril será lançado o aguardado livro do papa Bento 16 sobre a vida de Cristo, Jesus de Nazaré, do batismo no Jordão à Transfiguração.

 

Gesù Nazareno. Un colloquio con Mauro Pesce. A cura di Cristiana Facchini.

Il mio libro Le parole dimenticate di Gesù (Mondadori-Lorenzo Valla) del settembre 2004 aveva avuto un successo inaspettato nonostante si trattasse di una voluminosa antologia in greco e in latino con un commento molto tecnico. Ho intuito perciò che un vasto pubblico aveva un interesse a conoscere i risultati scientifici delle indagini storiche su Gesù. Quando Augias mi propose un’intervista su Gesù ero quindi in qualche modo già pronto ad accettare.

Chiedendomi quale sia il rapporto tra domande e risposte tu metti il dito sulla questione centrale del libro. Augias non ha fatto domande sue, ma, da grande professionista quale è, si è fatto portavoce delle domande che — a suo giudizio — erano le più diffuse e sentite in un vasto pubblico. In un processo di divulgazione è fondamentale innestare i risultati della ricerca scientifica sul bisogno reale della gente. Non basta esprimersi in modo chiaro e semplice. È necessaria una accurata conoscenza della situazione culturale in cui la maggioranza della popolazione vive. C’è poi bisogno di un meccanismo di promozione che segnali il prodotto-libro a vasti strati della popolazione, in modo da suscitare interesse verso la lettura.

Devo però dire che il successo del libro ha per me anche un aspetto fastidioso, perché le cose che dico nelle mie risposte ad Augias erano già state da me esposte varie volte in una quantità di articoli e libri scientifici che non hanno riscosso un così vasto interesse. Questo fatto esige risposte pratiche sui modi di trasmissione del sapere nella società di oggi.

Le polemiche scaturite dalla pubblicazione di questo libro sono sconcertanti, lasciano intravvedere una cultura italiana arretrata, una Chiesa cattolica arroccata su posizioni difensive d’altri tempi. Molti di noi hanno pensato alla figura di Ernest Renan, allo scandalo suscitato dalla pubblicazione di quel libretto La vie de Jesus che fu un best-seller ottocentesco. Ma questo accadeva quasi un secolo e mezzo fa. Perché secondo te questo libro su Gesù in un’Italia tutto sommato moderna, ha suscitato un dibattito così acceso e molto spesso non privo di mistificazioni gratuite?

Il fatto che «Avvenire», il giornale che esprime il parere della Conferenza Episcopale Italiana, sia intervenuto per ben tre volte sul libro e che addirittura «Civiltà cattolica» abbia pubblicato un articolo di condanna dogmatica è sintomo del fatto che una certa parte del cattolicesimo italiano si è spaventato. «Avvenire» ha mobilitato il padre Cantalamessa, molto noto per la sua costante presenza televisiva, affinché un vasto pubblico cattolico avesse una riposta rassicurante contro gli eventuali pericoli per la fede che il libro a suo parere poteva costituire. L’articolo del padre De Rosa su «Civiltà cattolica» ha invece la funzione — credo — di avvisare in modo indiretto, ma molto chiaro, gli esegeti cattolici, soprattutto sacerdoti, su cosa potrebbe succedere loro se seguissero il mio esempio. Sarebbero condannati, esclusi dall’insegnamento e le case editrici cattoliche dirette da sacerdoti e ordini religiosi sarebbero ugualmente sottoposte a censura.

Quello che colpisce negli articoli di Cantalamessa e De Rosa è il fatto che non presentano correttamente il mio pensiero e anche che cerchino di denigrarmi sul piano professionale. Per questo motivo chiedo a «Storicamente» di inserire come appendice a questa intervista la mia risposta dettagliata a cantalamessa e a De Rosa. Si tratta di risposte lunghe e tecniche, che sono però necessarie per comprendere la natura di questi due attacchi ecclesiastici.

Bisogna dire tuttavia che questi due attacchi non rappresentano affatto tutta la Chiesa cattolica, ma solo due orientamenti romani. Le Edizioni Paoline hanno assunto un ben altro atteggiamento su «Letture», «Vita pastortale» e su «Jesus». In nessuno di questi giornali si troverà una condanna. Devo ringraziare le redazioni di «Letture» e de «Il regno» (quest’ultimo delle Edizioni Dehoniane di Bologna) per avere trascorso con me alcune ore rispettivamente a Milano e Bologna discutendo e presentandomi obiezioni anche serie, ma sempre rispettose. Molti sacerdoti e parroci hanno avuto reazioni favorevoli. Cantalamessa — che è persona certo molto intelligente e preparata — mi sembra invece farsi carico della posizione dei movimenti ecclesiali, i quali, mettono, sì, al centro della loro vita religiosa, la Bibbia e quindi il Nuovo Testamento, ma senza un’adeguata preparazione esegetica (da parte dei membri dei movimenti) e corrono perciò il pericolo di cadere a volte in tendenze fondamentaliste. Il Padre De Rosa mi sembra al contrario più vicino alle preoccupazioni teologiche del cardinal Ruini e di ambienti teologici romani conservatori o neoconservatori che tendono a coprirsi con le idee teologiche dell’attuale Papa.

La ricerca sulla vita di Gesù – ma per esteso sulla storia del cristianesimo e sulle religioni – rimane in questo paese ancora un affare di pochi. Quando questi temi escono dall’accademia, dagli ambiti ristretti del dibattito scientifico internazionale, allora emergono due posizioni nette: da un lato il plauso acritico dei “laici”, accompagnato talvolta da un assoluto disinteresse, o le accuse animose di esponenti ecclesiastici, coadiuvato dagli intellettuali cattolici organici, quei laici cioè che si adoperano in modi differenti per diffondere capillarmente le posizioni ufficiali della Chiesa cattolica. Sembra che in questo paese la riflessione autonoma, indipendente su tematiche di carattere religioso sia prerogativa di pochi. Perché la Chiesa cattolica teme la libertà di pensiero su questioni religiose?

Perché la Chiesa cattolica tema la libertà di pensiero su questioni religiose è una domanda a cui temo di non avere una risposta adeguata. Anzitutto, come ho fatto con la domanda precedente, non parlerei di Chiesa cattolica in generale. Si tratta soltanto di alcuni ambienti ecclesiastici romani. La Chiesa cattolica rappresenta nel mondo di oggi una realtà estremamente variegata, ricca di esperienze straordinarie in ogni parte del pianeta, inclusa l’Italia, straordinarie per il loro valore etico, umano e religioso. Anche in Italia, negli ordini religiosi, nelle parroccchie, tra la gente di fede cattolica esiste una ricchissima varietà di posizioni che sono lungi dall’identificarsi con alcune tendenze teologiche e politiche neoconservatrici romane.

Detto questo, è però vero che una certa tendenza tipicamente cattolica a delegare ai soli sacerdoti il sapere e ai laici una posizione intellettualmente subordinata non è stata realmente modificata dal Concilio Vaticano II nonostante la sua insistenza sul “sacerdozio universale dei fedeli”. Ciò significa che i sacerdoti ricevono una formazione esegetica spesso approfondita, ma non i laici i quali perciò non hanno strumenti adeguati per comprendere l’analisi storica dei testi biblici e della figura storica di Gesù. Da qui la preoccupazione della gerarchia di impedire il più possibile una divulgazione pubblica dei dibattiti esegetici che obbligherebbe ad un divcrso rapporto clero-laicato.

Alcuni hanno forse pensato che per porre rimedio al fatto che qualche centinaia di migliaia di persone aveva letto il libro Inchiesta su Gesù, era opportuno denigrare l’esegeta Mauro Pesce dal punto di vista scientifico e dottrinale in modo da togliergli autorità rispetto al pubblico cattolico. Ma il punto è che le tesi storiche che io espongo sono largamente diffuse nell’esegesi internazionale. Il passaggio dalla ricerca storica alla visione di fede richiede numerosi passaggi intermedi. L’esegesi studia i testi dei vangeli uno per uno, non come parte di una collezione canonica ispirata da Dio. Per questo motivo, nelle Facoltà teologiche, dopo l’esegesi si accede ad un diverso insegnamento che è quello della teologia biblica che parte dall’insieme del Nuovo Testamento. I dati della teologia biblica vengono poi assunti ad un terzo livello ulteriore, quello della teologia dogmatica, che a sua volta diviene la base per la teologia pastorale e per la teologia morale, che più direttamente investono la vita concreta dei fedeli. Alcune autorità ecclesiastiche temono che un contatto diretto della gente con l’esegesi storica metta in crisi quella serie di passaggi ermeneutici e teologici che permette alla Chiesa di fondare il proprio attuale assetto. Ma per ovviare a questo pericolo basterebbe una maggiore informazione.

Quando si discute di Gesù si capisce con facilità che molte delle direttive del Vaticano II sono rimaste lettera morta. È chiaro che quella stagione storica è finita, e forse non ha neanche raggiunto gli obiettivi che si erano posti i padri conciliari. Il problema del Gesù storico apre una difficile questione di rapporti con l’ebraismo. Perché ancora suscita scandalo il Gesù ebreo?

Permettimi di rispondere in due tempi. Il Cardinal Ruini, nella sua posizione di grande rilievo ecclesiastico, ha cercato di condannare la lettura storica che del Concilio Vaticano II ha dato la Storia del Concilio diretta da Giuseppe Alberigo e ha proposto una sua lettura di questo evento che tende a negarne sostanzialmente l’innovazione. Dal punto di vista degli studi biblici, il fatto certamente positivo, di avere messo dopo tanti secoli, la Bibbia al centro della vita della Chiesa ha avuto anche effetti negativi. L’effetto negativo principale sta nel fatto che nel momento in cui la Chiesa ha messo finalmente la Bibbia a contatto diretto con il popolo fedele, ha però cercato di marginalizzare l’esegesi storico-scientifica perché troppo difficile e pericolosa per i fedeli. Accusata di aridità e di non fornire sufficiente nutrimento religioso, l’esegesi storica è stata sostituita spesso da un’esegesi “spirituale”, a volte ispirata all’interpretazione allegorica degli antichi Padri della Chiesa, a volte semplicemente moraleggiante ed intimistica. Il pericolo per la teologia biblica postconciliare è di separarsi troppo dallo stato attuale della ricerca scientifica. Credo che oggi lo scollamento di molti ambienti ecclesiastici dalla ricerca scientifica, non solo esgetica e storica, sia considerevole. E ciò crea un pericolo di una certa involuzione della Chiesa cattolica.

Quanto alla questione ebraica, è certo vero che la chiesa cattolica dal 1965 ad oggi ha prodotto un numero strordinario di documenti in cui vengono radicalmente criticati i presupposti dell’anti-ebraismo e dell’antisemitismo cristiano dei secoli passati. È però anche vero che questi documenti hanno avuto scarso impatto sulla popolazione dei fedeli e tra gli stessi teologi. In Inchiesta su Gesù, una delle mie affermazioni più contestate da Cantalamessa e De Rosa è proprio quella che Gesù è un ebreo e non un cristiano. Ciò è ovvio nella letteratura esegetica, ma non per loro. In realtà le affermazioni contenute ad esempio nei Sussidi per una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella catechesi e nella predicazione della chiesa cattolica del 1985 o anche molti paragrafi del Catechismo della Chiesa cattolica sono rimasti per lo più lettera morta e i fedeli non li conoscono. Quello che io dico nel libro sull’ebraicità di Gesù è già sostanzialmente in questi documenti cattolici ufficiali.

Sei stato accusato di avere privilegiato, nella tua ricerca su Gesù, i testi apocrifi del Nuovo Testamento contro quelli canonici. Ma dal libro questo non emerge per nulla. Anzi oserei dire che molta attenzione è dedicata al Gesù del Vangelo di Giovanni, a cui tu a hai dedicato molti studi. Mi ha molto colpito quel Gesù così intensamente mistico. Vorresti spiegare come sei giunto a decodificare quelle che tu chiami «le esperienze religiose» dell’uomo Gesù? Come è possibile, e non solo per uno storico dell’antichità, ricostruire le forme dell’esperienza individuale di una personalità religiosa del calibro di Gesù? Vorrei che tu spiegassi le procedure metodologiche che utilizzi per analizzare un testo religioso.

È vero che il Gesù religioso e mistico è un aspetto che ho voluto sottolineare in modo particolare e a cui tengo molto. Come posso essere certo di potere ricostruire storicamente in modo attendibile le esperienze religiose di Gesù? Quali sono le mie procedure metodologiche? Rispondo sommariamente. Più che i diversi criteri di storicità elaborati da tanti esegeti, per me è fondamentale distinguere gli elementi chiaramente attribuibili alla redazione di un evangelista rispetto alla tradizione che egli elabora: si tratta di un criterio negativo. Ciò che è tipico di un evangelista è sua creazione o creazione del suo ambiente (anche se resta il problema di chiarire come questa innovazione si radichi sulla tradizione precedente). Questa distinzione permette di fare passi indietro verso tradizioni più antiche e più originali. È a questo punto che la convergenza tra tradizioni antiche adddita strati più vicini a Gesù stesso. Qui diventa estremamente importante chiarire i modi di trasmissione di questi materiali antichi, la molteplice attestazione di fonti indipendenti, le forme culturali. Alla base della mia ricerca sta non tanto la cosiddetta terza ricerca su Gesù, quanto invece uno studio socio-antropologico delle fonti che rintraccia anzitutto i presupposti culturali degli strati profondi dei testi, poi gli ambienti dei discepoli di Gesù da cui il testo proviene (secondo livello del testo) senza concentrarsi soltanto sul terzo livello esplicito del testo. Sono queste forme culturali — che ho studiato ad esempio nell’ultimo libro Forme culturali del cristianesimo nascente (Brescia, Morcelliana 2006) scritto a quattro mani con Adriana Destro — che permettono di confrontare le esperienze religiose dei primi seguaci di Gesù con quelle atttribuite a Gesù stesso. La preghiera, le rivelazioni soprannaturali sono due forme culturali particolarmente interessanti per comprendere aspetti centrali della vita di Gesù.

Nel libro tu presenti ad un vasto pubblico alcuni dei risultati della ricerca storica su Gesù e le diverse interpretazioni che sono state date della sua vita e delle sue azioni – Gesù mistico, taumaturgo, mago, profeta, predicatore attento ai problemi sociali del suo tempo. Come si procede dal punto di vista storico alla ricostruzione della vita di Gesù? Quali sono le correnti storiografiche più accreditate? Esistono anche altrove conflitti tra la ricerca scientifica e le chiese?

I tre gruppi scientifici — molto diversi fra loro — che hanno a mio avviso maggiormente contribuito al rinnovamento degli studi su Gesù e sul cristianesimo antico sono l’Association pour l’Etude de la Littérature Apocryphe Chrétienne (AELAC) europea, il Jesus Seminar statunitense, e le tendenze europee e statunitensi che rileggono le origini cristiane in modo socio-antropologico. Queste tre correnti hanno suscitato problemi, proposto nuove fonti e nuovi paradigmi interpretativi che hanno costretto moltissimi a rinnovare problematiche, metodi e soluzioni. Personalmente, pur avendo forti legami con l’AELAC, sono legato alla terza tendenza. Ne sono testimonianza una cinquantina di articolo scritti insieme all’antropologa Adriana Destro e libri come Antropologia delle origini cristiane (Laterza 1995) e Come nasce una religione (Laterza 2000). Tuttavia, io sono in genere metodologicamente e storiograficamente onnivoro. Non mi piacciono le scuole e i loro gerghi.

Queste nuove tendenze sono diffuse anche tra l’esegesi italiana, ma poco nella teologia cattolica. Del resto, nonostante l’amplissimo e libero dibattito che si svolge nella Society of Biblical Literature, anche nelle chiese statunitensi l’esegesi scientifica è poco recepita.

Contrariamente a quanto è stato affermato nelle polemiche recenti, il Gesù delle tue ricerche fa riemergere la complessa figura che si viene a cristallizzare nella memoria delle diverse comunità cristiane. Come avveniva la trasmissione della memoria di Gesù per i primi cristiani? Cosa leggevano e cosa conoscevano le prime comunità cristiane della vita, degli insegnamenti e delle azioni di Gesù?

La memoria di Gesù nelle prime comunità di discepoli di Gesù avveniva in modi fortemente differenziati. Agli inizi, la trasmissione dei fatti e delle parole di Gesù avveniva in ambienti ebraici i quali fornivano il contesto istituzionale religioso di base. Solo quando questo contesto ebraico in diverse zone e in epoche diverse cominciò ad allentarsi, divenne primaria l’esigenza di fondare soprattutto in Gesù le usanze religiose, liturgiche, la prassi morale e ideologica dei gruppi. È in questa fase che i vangeli adempiono ad una funzione importantissima. Nelle mie risposte ad Augias ho detto brevemente quello che avevo ipotizzato in un mio saggio e cioè che paradassalmente i vangeli — che ci permettono l’accesso privilegiato alla conoscenza di Gesù — ne costituiscono anche una prima forma di de-giudaizzazione e di cristianizzazione. Ma questa affermazione va intesa all’interno degli studi specializzati sui modi di trasmissione dei materiali relativi a Gesù e non come una svalutazione del significato e valore storico dei vangeli canonici. È comunque molto difficile stabilire con precisione cosa le singole comunità dei seguaci di Gesù leggessero, quali libri protocristiani usassero e quali testi ebraici. La trasmissione orale della parole e dei fatti di Gesù rimase viva almeno fino alla metà del II secolo con un valore anche più rilevante di quello che avevano opere scritte come i quattro vangeli divenuti poi canonici, i quali solo alla fine del II secolo cominciarono ad essere considerati più importanti degli altri.

Tu hai spesso sostenuto che il cristianesimo delle origini è un fenomeno culturale e religioso differenziato. Si parla spesso di diverse forme di cristianesimi. Come si è diffuso il cristianesimo nell’Impero romano? Qual è il rapporto tra un movimento religioso apparso nel mondo ebraico della Terra d’Israele e la sua diffusione negli ambienti urbani dell’Impero romano?

La tua domanda riguarda in fondo la grande questione della nascita del cristianesimo che comincia a formarsi solo dopo che le comunità dei discepoli di Gesù non fecero più parte della comunità dei Giudei. La mia affermazione che il cristianesimo come lo intendiamo noi potrebbe essere nato solo nella seconda metà del II secolo ha suscitato un enorme reazione da parte di Cantalamessa e di De Rosa, ma si tratta di un’affermazione storiografica ben articolata che è molto diffusa tra gli studiosi di oggi e non contiene nulla di contrario al cristianesimo. Nel 2004, un numero intero della rivista «Annali di Storia dell’Esegesi» dal titolo Come è nato il cristianesimo? è stato dedicatto a questo tema e studiosi di ogni parte di Europa prendono posizione a favore di una nascita tarda. Lo scandalo nasce solo da una insufficiente informazione del dibattito. In ogni caso, al centro del problema stanno tre fatti: Gesù era un ebreo perciò si pone neccssariamente la questione del quando il cristianesimo sia nato. Secondo: all’inizio esiste una molteplicità di versioni diverse della fede in Gesù e solo dopo la seconda metà del II secolo si afferma un cristianesimo normativo. Terzo: con il diffondersi nell’Impero romano ed in altre parti del mondo antico, le comunità di seguaci di Gesù non furono più composte da Ebrei e questo comportò una sostanziale modifica. L’interpretazione dell’incrociarsi di questi tre fattori costituisce un grande problema storiografico che è oggi molto dibattuto e lontano dal vedere un consenso nelle soluzioni.

La “questione religiosa” diventerà, forse, una questione di primaria importanza nei prossimi decenni. Non si tratterà solo del rapporto tra cristianesimi e società, ma anche di quello tra cristianesimi, società moderna e altre religioni. Come vedi questo rapporto anche alla luce delle vicende attuali sul tuo libro?

La questione religiosa è certo al centro del nostro futuro, anche se non dobbiamo mai dimenticare che spesso i fattori che la determinano non sono primariamente religiosi. Mi sono convinto da tempo che le religioni, dalla fine del Settecento in poi, si sono differenziate al proprio interno in diverse correnti che si diversificano per il modo con cui rispondono ad alcuni grandi problemi posti dalla cultura contemporanea i quali sono, a mio avviso: la presa di coscienza dei diritti naturali dei singoli, la scienza moderna e la sua spiegazione del mondo, lo studio storico delle religioni e i nuovi modi di vita sviluppati nelle grandi capitali culturali del mondo. Esiste un ventaglio di risposte religiose che va dall’accettazione di questi elementi culturali al loro radicale rifiuto attraverso tutta una serie di posizioni intermedie di compromesso. Lo studio storico di Gesù è uno dei frutti dello studio storico delle religioni e il dibattito pubblico sui fondamenti del cristianesimo rientra in quella caratteristica tipica delle società contemporanee fondate sui diritti naturali dei singoli, caratteristica che consiste nella cosiddetta “società civile”, uno spazio neutro in cui tutti possono esprimere liberamente le proprie idee religiose, areligiose o irreligiose e non connotato, quindi, da una religione in particolare. L’università — fondata sul metodo scientifico — è il frutto tipico della società civile. La Chiesa cattolica ha impiegato circa settanta anni dal 1893 in poi (data della Enciclica di Leone XIII, Providentissimus Deus) per accettare lo studio storico della Bibbia, ma poi negli anni ’80 e ’90 del Novecento ha conosciuto il ritorno di una teologia – non so quanto maggioritaria nel mondo cattolico – che nega o attenua molto l’interpretazione storica.

Il fatto è che l’atteggiamento della teologia islamica è completamente ostile ad una interpretazione storica del Corano e della religione islamica nel suo nucleo profetico fondante. Di fronte all’irrigidimento fondamentalista di gran parte della teologia islamica le altre religioni stanno subendo un parallelo e contrapposto irrigidimento. Il riconoscimento dello spazio neutro della società civile tende così a diminuire da parte delle grandi religioni mondiali che desidererebbero occupare un sempre maggior numero di spazi sociali.

As principais dificuldades no estudo do Jesus Histórico

Se você se interessa pela questão do Jesus Histórico, vale a pena ler, de Mark Goodacre, o post Why is the Historical Jesus Quest so difficult?


Escrevendo em seu NT Gateway Weblog, este especialista em Novo Testamento da Universidade Duke, USA, diz que, na sua opinião, o estudo do Jesus Histórico é bastante difícil por 7 razões:

  • Faltam dados, ou seja, existe pouca coisa sobre Jesus antes do ano 30
  • Os dados existentes são prejudicados pelo viés cristão
  • As fontes são controvertidas, com diferentes avaliações dos especialistas
  • As fontes são, às vezes, contraditórias, dificultando a sua interpretação
  • Nossa distância dos dados é tão grande que projetamos nos textos nossos preconceitos
  • Há uma enorme literatura moderna sobre o assunto, dificultando ainda mais o estudo
  • Jesus é um personagem fundamental para muita gente e tudo o que se fala dele tende a se tornar objeto de controvérsia.

Crossan vem ao Brasil em outubro de 2007

Notícia enviada pela Profa. Dra. Cláudia A. P. Ferreira, da FL/UFRJ: John Dominic Crossan virá ao Brasil para participar do I Seminário Internacional sobre o Jesus Histórico em outubro de 2007.

Leia um interessantíssimo artigo autobiográfico de Crossan em

Almost the Whole Truth: An Odyssey

Memories? What you remember, what you forget, and, most unnervingly of all, what is in there somewhere, forgotten but recoverable with some accidental and external prompting. My mother carefully boxed and stored the youthful debris of her three children. After she died, I found a forgotten pocket diary I kept in 1948. It covered the Winter and Spring terms of my third year in high school.

Thursday, April 1st: “Shot and wounded two homing pigeons, breaking their wings. Dickens of a row. How was I too know they were homing pigeons. That shook them anyway.”

Minor misspelling, minor exculpation, minor defiance, of course, but a single reading brought it all back. My father had a .22 rifle I was allowed to use only out in the countryside and under his supervision. I had shot it from our backyard into one of our neighbor’s trees. “Dickens of a row!” A long forgotten incident, in a long forgotten diary. The reading brings back unmentioned details and prompts the necessary inclusion of others. Thus: I must have been at home for that to happen; so it must have been Easter break from boarding high school; so Easter Sunday must have been the preceding March 28 in 1948. Memory as reconstruction, not just remembrance.

Back to the beginning. My parents lived in Portumna, Co. Galway, a town in Ireland too smaIl to have a good hospital. So my mother went to nearby Nenagh, Co. Tipperary, where I was born in 1934. My father was a banker. Since the Irish banking system involved a head-office in Dublin and branches throughout the country, each promotion entailed a transfer. Home never meant for me a fixed house or even a fixed town. Home was where you were.

Grade school was in Naas, Co. Kildare, a large market town about twenty miles from Dublin. On long walks along the Dublin road, when I was nine or ten, my father recited poetry which I then memorized. The price, say, for “Gungha Din,” complete and correct by the end of the walk, was sixpence. My father is gone now, so is the sixpenny piece, and so, through the new bypass, is the Dublin road. I have been asked recently whether an Irish background influenced my understanding of Jesus as a peasant resister to imperial aggression. Here is what I recognize and remember.

I grew up among the first generation of post-colonial Irish in the protected lee of the foundering British Empire. I spent 1945 to 1950 at St. Eunan’s College, Letterkenny, Co. Donegal. This county is connected to the Republic by a narrow sliver of land, surrounded on all its non-Atlantic sides by Northern Ireland, then as now a part of Britain. This schooling bred strange anomalies. All instruction was in Gaelic, but the curriculum was adopted bodily from the elite private schools of England. So in Irish History class, I learned the awful things Britain had done to Ireland. Against empire, therefore? But in courses on the Greek and Roman classics, with texts chosen by British education to prepare its youth for imperial administration, I learned, say, from Caesar’s Gallic Wars, to admire the syntax and ignore the slaughter. Even of our ancient Celtic ancestors. For empire, therefore?

On festive occasions, when the boarding students were released to visit their local relatives, I usually went to a paternal uncle-in-law. When he was a little drunk (that is, on all festive occasions), he would show me from a well-greased rag beneath his bed a Luger, used not in the fight for Irish independence but in the Irish civil war which immediately succeeded its partial acceptance.[one_half]

From all of that pedagogical confusion I still hold two truths with equal and fundamental certainty. One: the British did terrible things to the Irish. Two: the Irish, had they the power, would have done equally terrible things to the British. And so also for any other paired adversaries I can imagine. The difficulty is to hold on to both truths with equal intensity, not let either one negate the other, and know when to emphasize one without forgetting the other. Our humanity is probably lost and gained in the necessary tension between them both. I hope, by the way, that I do not sound anti-British. It is impossible not to admire a people who gave up India and held on to Northern Ireland. That shows a truly Celtic sense of humor.

I still hold two truths with equal and fundamental certainty. One: the British did terrible things to the Irish. Two: the Irish, had they the power, would have done equally terrible things to the British. … The difficulty is to hold on to both truths with equal intensity, not let either one negate the other, and know when to emphasize one without forgetting the other.

My paternal grandparents were lower-class farmers and my maternal grandparents were middle-class urban shopkeepers. (I say poor farmers and not peasants because, unlike peasants whose surplus is expropriated by elite force, with them there was no force, and no surplus either.) When I stayed at their respective homes in the very early forties, my father’s family was still living well outside the nearest town, Letterkenny in County Donegal. They had a white-washed thatch-roofed cottage with an open fireplace for cooking, no internal plumbing, chickens and one goat for animals, donkey and trap for transportation. My mother’s family lived in a market town, Ballymote in County Sligo, above and beside their shop in a house with standard plumbing. But does that early experience with my paternal grandparents sufficiently explain why I made Jesus a peasant instead of, like my other grandparents, a shopkeeper, running a carpentry business out of his home in Nazareth? I admit, however, to a definite prejudice towards those paternal grandparents. Where else could you chase chickens, ride a donkey, and annoy a goat sufficiently to make it charge?

Many representatives from monastic orders spoke at my high school. One, from the Servite Order caught my imagination more than any of the others. After graduating in 1950, I entered the American province of this thirteenth-century Roman Catholic monastic order. And so, one early morning in October 1951. I stood on the deck of the Queen Mary with the Statue of Liberty slipping behind to port as we moved up the Hudson to the Cunard docks.

The Servite major seminary was near Chicago but we students lived in complete isolation from the outside world. Monastic life meant celibacy and liturgy, work and recreation, silence and study. The curriculum was designed for safety rather than originality; obedience was the supreme virtue; discussion and debate were hardly encouraged. Still, there was the library, and thoughts could always be kept to oneself. After two years of philosophy and four of theology I was ordained a priest in May, 1957.

From those years I still love Gregorian Chant, which I sang very badly for three or four hours in daily choir, and the Bible. My teacher, Neal Flanagan inserted the Bible, with competence and enthusiasm, into the general aridity of thomistic philosophy, scholastic theology, and canon law. I was about twenty-two before I knew the Bible was anything more than a quarry for liturgy. That means, irrevocably, that I see the historical Jesus, the New Testament, and early Christianity with a Roman Catholic, not with a Protestant, sensibility. This Roman Catholic sensibility is not automatically right or wrong, but it is inevitably different from the Protestant. And it is a sensibility, not a baptismal certification, ecclesiastical designation, or denominational acceptation.

I went to Maynooth College for my theological doctorate in 1957. It is the national seminary of Ireland, founded about two hundred years ago by the British Crown in order to keep Irish clerics away from the European continent and radical ideas away from Irish clerics. When I entered, it was no longer under the British Crown but was still dedicated to its original purpose. Still, after six years of monastic isolation, even Maynooth was wonderful. I finished the degree in two years but also spent hours of remedial reading every day. I read the complete works of anyone worth reading for the last hundred years. I also discovered film, and remember a Saturday afternoon when the Dublin Film Society showed, without subtitles, a film just released called The Seventh Seal. Imagine Bergman without warning.

In 1959, with a shiny new doctorate, I went to the Biblical Institute in Rome to specialize in the Bible for two years. The curriculum presumed Hebrew and Greek, demanded extra biblical languages each year, involved much detailed textual analysis, but was terribly weak on self-conscious method and self-critical theory. Those omissions were not exactly accidental since that way danger lay. But the years from 1959 to 1961 were a marvelous time to be in Rome and indeed all over a Europe, recovering fast from the horrors of the thirties and forties.

I returned to America in 1961 to teach at the Servite seminary from which I had been ordained. I was the entire biblical department and taught my way through the complete Bible over a four-year cycle. Such total unspecialization is neither usual nor desirable, but I have never regretted having done it at least once. It was then I first began to learn something about the Bible: day after day, word after word, book after book. My first years of teaching coincided with a very exciting period in Roman Catholicism. The Second Vatican Council began to raise more questions than it would dare to answer.

In 1965 I went for a two-year sabbatical to the Ecole Biblique, the school of archeology run by the French Dominicans just outside the Damascus Gate in East Jerusalem (then Jordan). Most of the time I was doing my own work, but the location made it possible to go everywhere in the Middle East: in short trips to Jordan and Israel, and in longer ones to Greece and Turkey, Iraq and Iran, Lebanon and Syria, Egypt, Tunisia, and Morocco. In those days (though not anymore) I thought that the Lebanon solution might offer a model for Ireland’s tribal problems. On a beautiful late May day in 1967 the United Nations’ officers and officials moved their dependents into Lebanon, across the border from Israel and Jordan. We knew it was time for those of us who could leave to do so. The war came in three days. But by then, I was on my way home to teach with the Servites in Chicago.

In the fall of 1968 I decided to resign from the priesthood for two reasons. I wanted to marry Margaret Dagenais, who was then in the process of founding the Fine Arts Department at Loyola University in Chicago. And I wanted to be free from the irritation of thinking critically, as I had been trained, but being in constant trouble for doing so. I wanted to move from seminary to university teaching. In the late summer of 1969 I married Margaret and began teaching at DePaul University that fall. Not every Catholic university was willing to accept ex-priests into their departments of theology in 1969. It is a tribute to DePaul’s integrity that it was willing to judge me in terms of academic competency rather than dogmatic orthodoxy. There I remain, out of gratitude and loyalty, but more out of profound respect for that integrity.

In the early seventies Margaret and I discovered a bay, a valley, and a hillside high above the Mediterranean near Cala Llonga on Ibiza in the Balearic Islands of Spain. We bought some land, designed a villa, had it built, and spent the summers of the late seventies and earliest eighties there. (A year in Provence, nothing. Try a decade on Ibiza.) Margaret died from a heart attack in 1983. It was the first Saturday in June, the day we were to have left for Ibiza. I had what few of us get, three months with nothing to do but mourn, nowhere to hide from it and nothing to distract from it. Slowly, that first summer without her, I proofed In Fragments: The Aphorisms of Jesus, which was perfect: it required no thought but great concentration. And slowly, that same summer, I folded all Margaret’s clothes, dismantled her studio, gathered her books and realized, in watching myself do it, that I was getting the luxury of a three-month burial to replace the three-day one that had happened too soon, too fast. At the end of the summer I put our villa on Ibiza up for sale and went wind-surfing with my oldest nephew off Wexford in the Irish Sea. Raw terror is excellent therapy.

I knew that late May, early June, and no Ibiza would make the summer of 1984 an intense reminder of 1983. And I still had not done any work that required high originality or sustained creativity. Justus George Lawler had just become editorial director of Winston/Seabury and, in late May, asked me if I had anything for his first catalogue that Fall. He gave me overnight to think about it and on the telephone next morning I proposed Four Other Gospels: Ghosts that Haunt the Corridors of Canon. George disliked the subtitle so I slipped it into the Prologue, kept its rhythm, but replaced it with Shadows on the Contours of Canon. All necessary materials were on hand from In Fragments and the book was written in June and July of 1984. It was transmitted electronically from DePaul’s microcomputer to Polebridge Press and the page proofs were back by August when I returned after some more raw terror on the Irish Sea. We got the book out for the professional annual meeting, just six months from start to finish. But what it meant for me, above all, was that I was back and I was all right. Four Other Gospels will always be very special to me, and not just because its last chapter grew into The Cross that Spoke: The Origins of the Passion and Resurrection Narratives. The published subtitle, The Origins of the Passion Narratives is the work of some editorial type who found my version too long.

In August of 1986 I married Sarah Sexton, a school social worker. She has two children from an earlier marriage, but when Michelle and Frank entered my life they were already out of their teens. This is a procedure which I recommend highly. Although it lacks a little in biological immediacy, it is much easier, I am told, on the nerves. It is to Sarah, Frank, and Michelle that The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant is dedicated.

With that book, life got a little hectic. For six months it was in the top ten of religious bestsellers according to Publishers Weekly. After I made a promotional tour in Boston, New York, San Francisco, and Los Angeles before Easter, it became No. 1 in June, 1992. Separate British and Australian editions as well as Portuguese, Spanish, German, and Italian (where’s France?) are out or in process. Rumors of a Gaelic translation, however, are unfounded. There is out there, for twentieth-century Christianity, those I call the Jesus-likers—a phenomenon akin to that of the God-fearers for first-century Judaism.

Between myself and the publisher, HarperSanFrancisco, The Historical Jesus is known as “Big Jesus.” This is to distinguish it from a reorganized, popularized, and updated version due out in November 1993 and entitled, publicly, Jesus: A Revolutionary Biography, but privately, “Baby Jesus.” Beyond that, the next major project is obvious. Its working title is After the Crucifixion: The Search for Earliest Christianity. By “earliest” I mean before Paul, apart from Paul, and if Paul had never existed. If we can get behind the gospels to the historical Jesus, can we get behind the Acts of the Apostles to earliest Christianity?

I have been asked, quite often, what drives this life-time of research. I have been told, quite often, that I must be anti-dogmatic, anti-ecclesiastical, or anti-fundamentalist, that, having left the priesthood and monasticism, I must be seeking excuse at best or revenge at worst. Maybe. But dogmatism or fundamentalism, which have certainly scarred others terribly, have not really hurt me early enough or badly enough to warrant hidden attack. And, while I was a priest and a religious, I was quite happy. When I wasn’t, I left. I sense in myself no hidden agenda of either excuse or revenge. Here, however, is what I do see.

The last chapters of the gospels and the first chapters of Acts taken literally, factually, and historically trivialize Christianity and brutalize Judaism. That acceptation has created in Christianity a lethal deceit that sours its soul, hardens its heart, and savages its spirit. Although the basis of all religion and, indeed, of all human life is mythological, based on acts of fundamental faith incapable of proof or disproof, Christianity often asserts that its faith is based on fact not interpretation, history not myth, actual event not supreme fiction. I find that assertion internally corrosive and externally offensive. And because I am myself a Christian, I have a responsibility to do something about it. My reconstruction of the historical Jesus, for example, must be able to show why some people wanted to execute him but others wanted to worship him, why some thought him criminal but others thought him divine. But criminal or divine are not fact but interpretation, one by imperial Rome and the other by early Christianity. To say, therefore, that Jesus is divine means that some group sees in the historical Jesus the manifestation of God. That historical Jesus must be open to each and every century’s public proofs and disproofs, and it is precisely each century’s reconstructed historical Jesus that becomes an ever renewed challenge to Christian faith.

I never presume that we find the historical Jesus once and for all. I never separate the historical Jesus from the Christ of faith. Jesus Christ is the combination of a fact (Jesus) and an interpretation (Christ). They should neither be separated nor confused, and each must be found anew in every generation, for their structural dialectic is the heart of Christianity.

Fonte: The Fourth R – Volume 6-5, September-October 1993

Malucos ou aproveitadores? Dan Brown, Michael Baigent e mais gente!

Folha Online: 13/05/2006 – 10h03

Autor que acusou Dan Brown revê passos de Jesus

Eduardo Simões, da Folha de S.Paulo

Jesus não morreu crucificado e chegou a escrever, com as próprias mãos, sua defesa perante o Tribunal Romano. Esta nova teoria não parte de Dan Brown, mas de seu maior detrator, o historiador neozelandês radicado na Inglaterra Michael Baigent, co-autor de “O Santo Graal e a Linhagem Sagrada”, e de um processo de plágio contra o autor de “O Código Da Vinci”. Vencido por Brown. Em “Os Manuscritos de Jesus”, lançado no ano passado lá fora e que sai agora pela editora Nova Fronteira no Brasil, às vésperas da estréia da adaptação do best-seller de Brown para o cinema, Baigent levanta mais alternativas diferentes para a trajetória de Cristo. Segundo o autor, como antes já havia cogitado em seu primeiro livro, Jesus teria se casado com Maria Madalena e legado ao mundo uma “linhagem sagrada”, negada e escondida pela Igreja Católica. Agora, suas hipóteses se baseiam num documento jurídico datado de 45 d.C. Nele, um certo Jesus ben Josef, imigrante da Galiléia (cont.)

Geza Vermes fala sobre O Código Da Vinci, o Evangelho de Judas e quejandos, no Times

Geza Vermes, famoso especialista em judaísmo, com importantes pesquisas e publicações sobre os Manuscritos do Mar Morto e o Jesus Histórico, diz, por exemplo, que o Evangelho de Judas é totalmente irrelevante para a tentativa, hoje feita por muitos especialistas, de recuperar a mensagem original de Jesus.

Esta notícia eu li no PaleoJudaica.com do Jim Davila:

Qumran Scholar Geza Vermes offers expert commentary on The Da Vinci Code, The Jesus Papers, and the Gospel of Judas in today’s Times.

Geza Vermes é professor emérito de Estudos Judaicos da Universidade de Oxford, Reino Unido. Há livros de Geza Vermes traduzidos no Brasil.

 

The great Da Vinci Code distraction

Jesus married Mary Magdalene and admitted he wasn’t God, Judas was only obeying orders after Dan Brown the litany of biblical revelations seems unending. Geza Vermes asks why

IN THE BEGINNING, before the recent media frenzy about a dastardly conspiracy over Christian origins, there was Dan Brown who, after writing several detective stories, begot The Da Vinci Code (2003).

He penetrated the dark central mystery and disclosed that the marriage of Jesus to Mary Magdalene had been hushed up for two millennia by a clandestine clique within the Church. The book was fruitful and multiplied. It became a big hit in 70 languages of the creation, procuring Brown royalties from the sale of 40 million copies.

In Chapter 2, Michael Baigent and Richard Leigh, authors of the 1982 bestseller The Holy Blood and the Holy Grail, begot The Da Vinci Code court case. They accused Brown of plagiarism: The Holy Blood and the Holy Grail had already told the world that Jesus and Mary Magdalene were Mr and Mrs Christ.

A few weeks ago, a sensible judge rejected their claim and landed them with a six-figure legal bill. But the idea that Jesus married the Magdalene woman was not new. It was foreshadowed by Nikos Kazantzakis’’s novel The Last Temptation of Christ, filmed by Martin Scorsese.

An even more picturesque story can be found in Barbara Thiering’’s Jesus the Man (1992), a wholly idiosyncratic interpretation of the Dead Sea Scrolls and the New Testament in which Jesus fathers two sons and a daughter by Mary Magdalene before divorcing her and finding solace with Lydia, a woman bishop with whom he has another daughter. But in fact there is not a single ancient source for the invention of a sexual relation, marital or extramarital, between Jesus and Mary of Magdala.

Chapter 3 revolves around The Gospel of Judas, recently published in an edition by Rodolphe Kasser and others. In this not very significant late-2nd century text, Judas does not betray Jesus but obeys orders to hand him over to the chief priests.

On Palm Sunday, this ‘“gospel’”, originally begotten by an Egyptian Gnostic sect, was turned, with the help of a two-hour programme on the National Geographic television channel, into a rewritten New Testament that could be watched on five continents. The media furore was of almost nuclear proportions. The internet is still buzzing. The Pope, the Archbishop of Canterbury and the Patriarch of Moscow preached against this new peril to the faith.

Finally, up steps the loser in the Da Vinci Code case, Michael Baigent, having freshly begotten The Jesus Papers. His latest attempt to put the record straight about the New Testament arrives in time for the wave of publicity building up for the release of the film of The Da Vinci Code later this month.

Baigent’’s story is familiar in presenting Jesus and Mary Magdalene as husband and wife. What is new is the claim that Jesus did not die on the cross. With the connivance of Pontius Pilate, he was taken down alive, nursed back to health and, in the company of Mary Magdalene, lived happily, if not ever after, at least until the middle of the first century.

How serious a threat are these ‘“revelations’” to the picture of Jesus? The Da Vinci Code is a category apart. It is fiction and does not pretend to rewrite history. As a novelist, Brown is free to write whatever he chooses. The phenomenal success of the book and, no doubt, of the movie, does not claim to be anything other than fiction, even if it does not derive wholly from originality or from literary genius. No one would mistake Brown for the new Graham Greene. A good conspiracy yarn is highly attractive, but there is more to it, as I will suggest later (cont.).

Fonte: The Times: May 06, 2006

James Tabor, The Jesus Dynasty: mais um polêmico livro sobre o Jesus Histórico

Saiu na semana passada mais um polêmico livro sobre o Jesus Histórico e as origens do cristianismo. Escrito por James D. Tabor, professor da UNC- Charlotte, USA.

TABOR, J. D. The Jesus Dynasty : The Hidden History of Jesus, His Royal Family, and the Birth of Christianity. New York: Simon & Schuster, 2006, 384 p. – ISBN 9780743287241

Veja uma biografia do autor e um post de Mark Goodacre no seu Mark Goodacre’s NT Blog, publicado no dia 11.

 

Diz a apresentação da obra:

TABOR, J. D. The Jesus Dynasty : The Hidden History of Jesus, His Royal Family, and the Birth of Christianity. New York: Simon & Schuster, 2006Based on a careful analysis of the earliest Christian documents and recent archaeological discoveries, The Jesus Dynasty offers a bold new interpretation of the life of Jesus and the origins of Christianity. The story is surprising, controversial, and exciting as only a long-lost history can be when it is at last recovered.In The Jesus Dynasty, biblical scholar James Tabor brings us closer than ever to the historical Jesus. Jesus, as we know, was the son of Mary, a young woman who became pregnant before her marriage to a man named Joseph. The gospels tell us that Jesus had four brothers and two sisters, all of whom probably had a different father than his. He joined a messianic movement begun by his relative John the Baptizer, whom he regarded as his teacher and a great prophet. John and Jesus together filled the roles of the Two Messiahs who were expected at the time: John, as a priestly descendant of Aaron, and Jesus, as a royal descendant of David. Together they preached the coming of the Kingdom of God. Theirs was an apocalyptic movement that expected God to establish his kingdom on earth, as described by the Prophets. The Two Messiahs lived in a time of turmoil as the historical land of Israel was dominated by the powerful Roman Empire. Fierce Jewish rebellions against Rome occurred during Jesus’ lifetime. John and Jesus preached adherence to the Torah, or the Jewish Law. But their mission was changed dramatically when John was arrested and then killed. After a period of uncertainty, Jesus began preaching anew in Galilee and challenged the Roman authorities and their Jewish collaborators in Jerusalem. He appointed a Council of Twelve to rule over the twelve tribes of Israel, and among the Twelve he included his four brothers. After Jesus was crucified by the Romans, his brother James — the “Beloved Disciple” — took over leadership of the Jesus dynasty. James, like John and Jesus before him, saw himself as a faithful Jew. None of them believed that their movement was a new religion. It was Paul who transformed Jesus and his message through his ministry to the Gentiles. Breaking with James and the followers of Jesus in Jerusalem, Paul preached a message based on his own revelations, which would become Christianity. Jesus became a figure whose humanity was obscured; John became merely a forerunner of Jesus; and James and the others were all but forgotten. James Tabor has studied the earliest surviving documents of Christianity for more than thirty years and has participated in important archaeological excavations in Israel. Drawing on this background, Tabor reconstructs for us the movement that sought the spiritual, social, and political redemption of the Jews, a movement led by one family. The Jesus Dynasty offers an alternative version of Christian origins, one that takes us closer than ever to Jesus and his family and followers. This is a book that will change our understanding of one of the most crucial moments in history.

Jesus morreu na sexta-feira, 7 de abril de 30, quando tinha cerca de 36 anos de idade

MEIER, John P. Um Judeu Marginal. Repensando o Jesus Histórico. Volume Um: As Raízes do Problema e da Pessoa. Rio de Janeiro: Imago, 1993, p. 401-402, explica:

“Jesus de Nazaré nasceu – mais provavelmente em Nazaré, e não em Belém – por volta de 7 ou 6 a.C., alguns anos antes da morte do Rei Herodes, o Grande (4 a.C.).MEIER, J. P. Um Judeu Marginal. Repensando o Jesus Histórico. Volume Um: As Raízes do Problema e da Pessoa. Rio de Janeiro: Imago, 1993 Após ter sido educado de forma convencional numa família devota de camponeses judeus da Baixa Galiléia, ele foi atraído para o movimento de João Batista, cujo ministério começou na região do Vale do Jordão, entre o final de 27 ou começo de 28 d.C.; batizado por João, logo Jesus seguiu seu próprio caminho, iniciando seu ministério ainda em 28, com a idade de 33 ou 34 anos. Regularmente ele dividiu sua atividade entre a região da Galiléia e Jerusalém (incluindo a área adjacente da Judéia), dirigindo-se para a cidade santa para as grandes festas, quando as grandes multidões de peregrinos lhe proporcionariam um público que, de outra forma, ele não conseguiria atingir. Seu ministério se prolongou por dois anos e alguns meses.

Em 30 A.D., estando em Jerusalém para a festa da Páscoa que se avizinhava, Jesus aparentemente sentiu que a crescente hostilidade entre as autoridades do templo e ele estava prestes a alcançar seu clímax. Jesus celebrou uma solene ceia de despedida com seu círculo mais íntimo de discípulos, ao anoitecer da quinta-feira, 6 de abril (pela nossa contagem atual), quando começava o décimo quarto dia de Nisan, o dia de preparação para a Páscoa (de acordo com a contagem litúrgica judaica). Preso em Getsêmani na noite de 6 para 7 de abril, ele foi primeiro inquirido por alguns funcionários judeus (pouco provavelmente por todo o Sinédrio) e depois entregue a Pilatos na madrugada de sexta-feira, 7 de abril. Pilatos prontamente o condenou à morte na cruz. Depois de flagelado e humilhado, Jesus foi crucificado no mesmo dia, nos arredores de Jerusalém. Morreu na sexta-feira, 7 de abril de 30, com a idade de 36 anos aproximadamente”.

* Neste ano, 2023, a Sexta-Feira Santa cai em 7 de abril. A última ocorrência foi em 1950 e a próxima será em 2034. Cf. http://mbednarek.byethost7.com/easter.phphttps://calendarhome.com/calculate/day-of-week

Cf. Um esboço da vida de Jesus, segundo John P. Meier

Opine sobre isso em Enquetes bíblicas.

Leia também: Paixão de Cristo: como foi a morte de Jesus, segundo a ciência – Por Edison Veiga: BBC News Brasil – 1 abril 2021

Leia Mais:
Jesus Histórico no Observatório Bíblico

Onde se faz a maior parte da pesquisa atual sobre o Jesus Histórico?

Vale a pena ler a reflexão de Mark Goodacre no seu Mark Goodacre’s NT Blog sobre a atual situação da pesquisa sobre o Jesus Histórico. Leia

American Jesus scholarship coming of age?

Ou seja: A pesquisa norte-americana sobre o Jesus Histórico está chegando à maioridade?

 

American Jesus scholarship coming of age?

I am preparing a lecture at the moment on the contemporary scene in Historical Jesus scholarship (having taking a lecture on Schweitzer, then a lecture on Bultmann, Käsemann and the new quest, then a lecture on Geza Vermes and Ed Sanders) and as I re-read some materials on the Jesus Seminar, I am struck by this comment from the late Robert Funk, just a little over twenty years ago:

Perhaps most important of all, these developments have taken place predominantly, though not exclusively, in American scholarship. We need not promote chauvinism; we need only recognize that American biblical scholarship threatens to come of age, and that in itself is a startling new stage in our academic history. We may even be approaching the time when Europeans, if they know what they are about, will come to North America on sabbaticals to catch up, rather than the other way around. It is already clear that Europeans who do not read American scholarship are falling steadily behind. (Opening Remarks of Jesus Seminar Founder, Robert Funk, 21-24 March 1985)

It’s interesting to read that prophecy of not so long ago, and in many ways Funk has been proved right. In Historical Jesus studies at least, one’s mind naturally turns to Germans, and a handful of Brits prior to 1970. But the last thirty years or so have been quite different.

I’m wondering about geographical affiliations of Jesus questers in recent times. I suppose that a surprising number of so-called third questers have an association with the U.K., Geza Vermes, Anthony Harvey, Tom Wright. Ed Sanders had written Jesus and Judaism prior to coming to Oxford in 1984, but it was published in 1985. Then there’s Gerd Theissen in Germany. There are of course many prominent Americans too, Ben Meyer, John P. Meier, Paula Fredriksen, Dale Allison and more. Jesus Seminar folk, on the other hand, tend to be almost exclusively based in the US, and perhaps that is no coincidence in the light of Funk’s remarks above.

An aside on the same topic, I have struggled with attempts to categorize recent Jesus scholarship and I am inclined to agree with Dale Allison in “The Secularizing of the Historical Jesus”* that the now standard division into three quests is misleading and unhelpful. Nevertheless, I was struck today to see that Lane McGaughy consciously aligns the Jesus Seminar’s work with the work of the New Quest (The Search for the Historical Jesus: Why start with the sayings?). I was struck because I had thought that Tom Wright’s category “renewed new quest” in his inventory in Jesus and the Victory of God was a kind of marginalizing of the work of Crossan et al. I had not realized that it was in the Jesus Seminar’s own self-description. Notice, in particular, the following:

The agenda of the Jesus Seminar thus evolved from the New Quest and its attempt to reconstruct the teaching of the historical Jesus. In distinction from the so-called Third Quest which is attempting to locate Jesus within the religious and social world of first-century Judaism, the work of the Jesus Seminar may be seen as a renewal and extension of the New Quest (though some members of the Jesus Seminar may see their own work as part of the Third Quest). In chapter four of his recent book Honest to Jesus, Robert Funk refers to the work of the Jesus Seminar not as part of the Third Quest, but as the Renewed Quest for Jesus . . . . The work of the Jesus Seminar can thus be seen as the continuation of the New Quest for the historical Jesus.

I’m really surprised by the explicit acknowledgement that there are others who are engaged in a different enterprise, and the apparent distancing from the task of “attempting to locate jesus within hte religious and social world of first-century Judaism”. I thought that everyone took for granted that one of the very reasons for the collapse of the new quest was its negative evaluation of what it so shockingly called “late Judaism”.

* This was on-line on Dale Allison’s homepage for ages, but it seems that it is no longer there, nor are any of his other articles (and there’s a new pic.). Google locates a version here but I don’t know if it’s legitimate or not. Anyway, if you have a copy of Resurrecting Jesus (and if you haven’t, why not?), it’s the first essay in there, and a cracking read, as is the whole book.

Fonte: Mark Goodacre – NT Blog: January 22, 2006